Il reportage

La doppia onda sulle isole Andamane e Nicobare

La popolazione di questi luoghi remoti non si è ancora risollevata dallo tsunami del 2004; le promesse di tutela dell’ambiente e del paesaggio sono andate perse negli anni

  • 31.12.2024, 09:31
  • 31.12.2024, 09:35
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20 anni dallo tsunami, uno sguardo all'India

Telegiornale 28.12.2024, 20:00

Di: Chiara Reid 

Sono passati due decenni dallo tsunami dell’Oceano Indiano. Il 26 dicembre 2004, la regione fu colpita da una delle catastrofi naturali più mortali della storia, quando un forte terremoto e le gigantesche onde che seguirono causarono migliaia di vittime in vari paesi. In India, le isole Andamane e Nicobare subirono il colpo più duro, con interi villaggi spazzati via e comunità distrutte. Oggi le cicatrici di quel giorno sono ancora visibili sia nel paesaggio che nei ricordi dei sopravvissuti.

C’e un prima e un dopo lo tsunami. Questo gruppo di 800 e passa isole ospita una popolazione di 300’000 abitanti, concentrati nelle 31 isole abitate, tra cui diverse tribù indigene mai contattate. Le isole più meridionali vicine all’epicentro del terremoto subirono danni enormi soprattutto sulla costa dove vivono comunità dedite alla pesca. Diecimila persone persero la vita, e i sopravvissuti si spostarono a Nord, dove i danni erano minori.

Il caos degli aiuti

Denis Giles, un giornalista che fu tra i primi ad arrivare nella remota isola di Nicobar dopo l’accaduto, racconta che gli aiuti che piovevano da tutte le parti non erano mirati ai bisogni reali. Gli abitanti, capaci falegnami chiedevano utensili per ricostruire le loro abitazioni tradizionali in legno e bambù, ma il governo consegnò decine di migliaia di prefabbricati in lamiera, dove si soffriva per il caldo, e che ancora rimangono in piedi. Altre ONG distribuivano soldi, in quantità mai viste dalla gente del posto. Non sapendo cosa farne, acquistavano elettrodomestici mentre non c’era elettricità, motorette quando non c’era neppure una pompa di benzina. Le razioni di cibo e le elargizioni in denaro continuarono per cinque anni, e poi di colpo si fermarono.

La disoccupazione resta molto elevata e i soli lavori disponibili sono nel turismo, la pesca che rimane volta al mercato locale, e gli ambiti posti governativi. In realtà la presenza dello Stato si fa sentire sulle isole, che sono off limits per gli stranieri tranne una manciata vicino al capoluogo. Esercito, marina, aviazione sfoggiano massicce basi. Molte persone che abbiamo avvicinato non hanno accettato di parlare, per paura di ritorsioni. Persino un centro di studio sulle mangrovie e i coccodrilli che infestano le acque attorno alle isole, ha ritirato il consenso alla nostra intervista per paura di perdere fondi governativi.

Nuova Delhi in settembre ha ribattezzato Port Blair, la capitale, con il nome di Sri Vijaya Puram, senza domandare il parere agli abitanti delle isole, e vuole cambiare il nome di altre tre isole vicine. Un esempio, secondo gli abitanti, di un dirigismo che non lascia spazio alla vera democrazia.

E l’iniziativa più preoccupante è il mega progetto di infrastrutture sull’isola di Great Nicobar, che cancellerà 166 km quadrati di foresta densa e ricca di specie animali e vegetali. Un immenso porto di interscambio, un aeroporto e una città turistica sorgeranno là dove le onde dello tsunami hanno cancellato i villaggi dei pescatori. Il consenso della gente del posto è stato strappato con sotterfugi e ora si ribellano, ma le loro voci sono zittite dalla mano forte delle autorità. Tutte le salvaguardie contro progetti dannosi per l’ambiente sono saltate: dipartimento forestale, ministero del cambiamento climatico, tribunale verde per l’ecologia hanno in qualche modo dato il beneplacito. Quello che lo tsunami non ha distrutto, Nuova Delhi si appresta a radere al suolo.

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20 anni fa uno tsunami travolse il sudest asiatico

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