Le elezioni del 4 marzo potrebbero sfociare in un periodo di ingovernabilità in Italia, secondo alcuni. Uno scenario che non è nuovo, ricorda Hervé Rayner, poiché già cinque anni fa era il tema dominante.
"Le coalizioni preelettorali non sono per forza quelle postelettorali", sottolinea il professore di scienze politiche dell'Università di Losanna. Ritornare alle urne in breve tempo con la stessa legge elettorale non cambierebbe infatti le cose, rileva questo specialista dell'Italia contemporanea - L'intervista
Stando ai sondaggi, la sera del 4 marzo non ci sarà un vincitore. In Italia ci si dirige verso un periodo di ingovernabilità?
Hervé Rayner: Non è ancora del tutto certo. Il centrodestra può ancora sperare di ottenere il 40%. È vero, però, che la maggior parte degli attori – anche se adesso lo negano – convergono già verso uno scenario di larghe intese.
Del resto, il presidente Mattarella e Berlusconi non vedrebbero di cattivo occhio una prosecuzione del governo Gentiloni, in ogni caso per alcuni mesi. Non bisogna dimenticare che Gentiloni è stato per un certo periodo ministro delle telecomunicazioni e ha avuto una politica di certo non sfavorevole nei confronti di Mediaset.
Renzi ed altri dicono dal canto loro che se non ci sarà una maggioranza si dovrà tornare alle urne. Ma rivotando con la stessa legge elettorale, ideata per favorire le coalizioni e sfavorire il Movimento 5 Stelle, non si vede bene cosa cambierà, poiché i 5 Stelle continueranno a restare attorno al 25/30%.
Bisogna poi tener conto della grande slealtà dei parlamentari. Nel corso di questa terza legislatura, più di un centinaio di senatori hanno cambiato casacca. E questo si verificherà anche nel corso della prossima.
Le coalizioni preelettorali non saranno per forza quelle postelettorali. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ad esempio, ripetono che non ci saranno inciuci. La loro preoccupazione principale è che Berlusconi faccia un'alleanza con Renzi, Gentiloni o una parte del Partito democratico.
Detto ciò, l'ingovernabilità era già il tema dominante dopo le elezioni del 2013. Già allora non c'era una maggioranza al Senato e vi erano tre poli come oggi. A ciò si aggiungeva un'ulteriore difficoltà, ovvero le trattative per la presidenza della Repubblica, che poi si conclusero con la rielezione di Napolitano.
Ciò che colpisce di più è l'incapacità dei parlamentari e dei membri del governo di accordarsi per delle riforme istituzionali. La legislatura che sta per finire è stata dominata da trattative infinite su queste tematiche: abolizione del Senato, riduzione del numero di parlamentari… Eppure, anche a causa del referendum sulle riforme costituzionali perso da Matteo Renzi, tutto è sfociato in un nulla di fatto. Questa incapacità di riformare non data da oggi: alla fine degli anni '80 erano state istituite commissioni bicamerali per le riforme che erano finite in nulla.
Hervé Rayner
Durante la campagna i partiti hanno promesso di tutto e di più: flat tax, assegni per i figli, riduzione della tassazione delle imprese, riforma delle pensioni… Malgrado una leggera ripresa economica, con un debito pubblico pari al 132% del PIL c'è veramente un margine di manovra per riforme simili?
Ci sono sempre dei margini di manovra. Ed è indubbio che un governo di centrodestra, di centrosinistra o dei 5 Stelle non porterà avanti le stesse politiche.
Tuttavia l'Italia è sotto osservazione e ci sono già dei messaggi che arrivano da Bruxelles. Una politica che portasse ad aumentare il deficit, sarebbe senza dubbio sanzionata immediatamente e si tradurrebbe in un aumento dello spread, lo scarto tra i tassi d'interesse tedeschi e italiani. Non bisogna dimenticare che fu anche l'impennata dello spread che nel 2011 portò alle dimissioni di Berlusconi e all'arrivo di Monti. C'è quindi una pressione molto forte, che riduce il margine di manovra del governo
Pressioni europee e dei mercati finanziari, quindi?
L'Unione Europea è diventata il perfetto capro espiatorio. Certo, l'Europa ha delle regole ed esercita delle pressioni in materia di bilancio. Ma vi è soprattutto l'incuria dei governi italiani. Quando c'è una misura impopolare da prendere, il colpevole è l'Europa. Se invece la congiuntura è favorevole, i meriti se li prende il governo.
Negli ultimi 25 anni si è assistito a un cambiamento radicale: l'Italia, che era uno dei paesi più filoeuropeisti, oggi è tra i più euroscettici. Addirittura la Lega Nord, nelle elezioni del 1992 e del 1994 si presentava più o meno come filoeuropeista. Giocava la carta dell'Europa contro l'incapacità di Roma.
L'Europa ha però anche le sue colpe, ad esempio la mancanza di solidarietà nella questione dei migranti.
Certo, l'Italia si è sentita lasciata sola e ciò ha raffreddato anche i più filoeuropeisti.
Alcuni hanno definito questa campagna la più brutta di tutta la storia repubblicana. Lei che la segue dall'esterno cosa ne pensa?
È un ritornello che si sente ad ogni elezione, almeno dal 1992. Bisogna però ricordare che l'ultima campagna era stata un po' eclissata da un altro voto: quello per la successione di Benedetto XVI. Allora, le analisi erano inoltre focalizzate su un altro aspetto, ossia il risultato dei 5 Stelle, che erano la grande novità delle elezioni.
Nel 2014, in occasione delle elezioni europee, il Partito democratico conquistava il 40,8% dei suffragi. Oggi i sondaggi lo danno attorno al 20%. Cosa è successo?
L'usura del potere, l'egemonia di Renzi, la sua onnipresenza mediatica. Quando nel 2014 ha estromesso Gianni Letta, tutti sono saltati sul carro del vincitore. Renzi ha generato tante speranze, ad esempio con il programma dei cento giorni, con tutti quei cantieri che avrebbero dovuto rivoluzionare l'Italia. Poi tutto si è afflosciato, per l'inerzia delle istituzioni e per molti altri motivi.
È vero che da un punto di vista economico la situazione è meno grave, ma resta fragile. Il Pil è cresciuto dell'1,4% nel 2017, ma negli ultimi anni era diminuito talmente che questa ripresa rimane debole. Anche la disoccupazione è calata, ma è pur sempre dell'11%. La situazione resta drammatica, soprattutto nel sud.
"Il partito democratico è sull'orlo dell'implosione"
Il modello mai confessato di Renzi è Bettino Craxi, il decisionismo: 'contrariamente ai democristiani che si perdono in mille trattative, io prendo delle decisioni'. Ciò ha fatto molti scontenti, sia nel partito che a livello locale. Il PD sta così perdendo completamente il suo ancoraggio territoriale. Nella precedente legislatura il partito poteva contare su 800 mila aderenti, oggi siamo sui 2/300 mila. Il PD è sull'orlo dell'implosione.
Questo ancoraggio territoriale è oggi una caratteristica del Movimento Cinque Stelle?
Non credo. È vero che i 5 Stelle hanno contribuito a riavvicinare la gente alla politica. Per contro, i candidati alle elezioni municipali, regionali e legislative, sono poco inseriti nelle reti di potere locali. È comprensibile ed è anche una caratteristica che possono presentare come risorsa. Tuttavia, se si analizzano ad esempio i risultati delle primarie, i candidati hanno qualche centinaio di voti. Ciò dimostra che hanno uno scarso ancoraggio territoriale.
Il Movimento sembra volersi presentare come pronto per governare.
Assolutamente, anche se non penso che Di Maio abbia voglia di lanciarsi adesso. Ciò che mi ha colpito è stato il lancio della campagna dei 5 Stelle circa un mese fa. Tutti erano in giacca e cravatta. Si sono presentati come dei notabili rispettabili. Tutto ciò partecipa all'istituzionalizzazione del movimento, che però diventa sempre più un partito come gli altri.
Un altro fatto saliente di queste elezioni è il ritorno in scena di Berlusconi. La sorprende? E a quasi 82 anni, cosa cerca ancora nella politica?
Si parla spesso di ritorno, ma non è mai completamente partito. Certo, dopo la condanna definitiva si è fatto un po' da parte. Nello stesso tempo, però, il suo peso nei media è aumentato. Mediaset si è estesa tra le radio private e ancor più nell'editoria, con l'acquisto di Rizzoli da parte di Mondadori. Rispetto a 2-3 anni fa, il gruppo Berlusconi è più forte.
"Si parla spesso di ritorno di Berlusconi, ma non è mai completamente partito"
Sono sempre molto colpito dall'autocensura che regna nei suoi confronti. Il processo sulla trattativa Stato-mafia, in cui è coinvolto il suo ex braccio destro Marcello Dell'Utri, per il quale l'accusa ha chiesto 12 anni di carcere, ha avuto una copertura mediatica molto bassa.
Vi è poi il processo Ruby Ter, che dovrebbe iniziare in maggio e che potrebbe risultare molto compromettente per Berlusconi.
Motivi giudiziari, dunque?
In parte sì. Vi è poi un aspetto economico di cui si è parlato poco. Nel dicembre 2016, il gruppo francese Bolloré si è accaparrato il 30% delle azioni Mediaset. Questa offensiva è stata senza dubbio traumatizzante per Berlusconi e la sua famiglia. Circa un mese fa, ha così riunito un consiglio d'amministrazione ristretto per cercare di bloccare un'eventuale ulteriore presa di potere del gruppo Bolloré.
La campagna è stata contraddistinta da un altro ritorno in scena: quello che un giornale svizzero ha chiamato il "demone fascista" dell'Italia. Cosa ne pensa?
Bisogna situare questo fenomeno nelle mutazioni che ha conosciuto la società italiana. Contrariamente a paesi con un importante passato coloniale, ad esempio la Francia o la Gran Bretagna, l'Italia è un paese d'immigrazione recente. Il fenomeno è iniziato solo alla fine degli anni 1980 e oggi in Italia vivono cinque milioni di stranieri. Queste mutazioni sociologiche si sono tradotte nella politica.
Il caso della Lega è abbastanza emblematico. All'inizio la Lega lombarda o la Lega veneta non presentavano delle grandi novità dal punto di vista ideologico, poiché riciclavano e modernizzavano un discorso antimeridionale molto vecchio, che datava addirittura della fine dell'800. Nel 1992, la Lega si presentava come 'né destra, né sinistra' e a lungo Bossi ha mantenuto una certa ambiguità.
Poi con l'arrivo di Salvini, nel momento in cui la Lega era a un livello molto basso, questo movimento si è spostato rapidamente verso posizioni di destra. La Lega si è allineata su partiti europei di estrema destra e il discorso anti-migranti si è radicalizzato.
Daniele Mariani