In Francia il presidente della Repubblica Emmanuel Macron sta vivendo un momento particolarmente difficile. Per il quarto sabato consecutivo, i gilet gialli – un movimento nato dall’esasperazione per l’aumento delle tasse – hanno indetto manifestazioni che sono sfociate in vandalismi e saccheggi. Il capo dello stato è attaccato in modo virulento dai manifestanti che gli rimproverano una certa arroganza. Appena quarantenne, nuovo in politica, eletto su un programma di riforme, Macron – dopo solo 18 mesi - è ai minimi di popolarità. Un percorso che ricorda quello di un altro leader che ha voluto “rottamare” la vecchia classe politica e riformare, perdendo però rapidamente consensi in modo drammatico: l’italiano Matteo Renzi. Con Marc Lazar, sociologo francese esperto di Italia, cerchiamo di sviscerare che cosa unisce e cosa differenzia la parabola dei due leader.
RG 08.00 del 10.12.2018 L'intervista di Lucia Mottini a Marc Lazar
RSI Info 10.12.2018, 09:00
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C'è una certa trepidazione in Francia per il discorso che il presidente rivolgerà ai francesi oggi (lunedì) dopo oltre una settimana di silenzio. Secondo lei, la situazione è recuperabile da parte di Macron e in che modo?
Sarà molto difficile ormai per il presidente della Repubblica francese riprendere in mano il gioco politico perché la popolazione mobilitata – i gilet gialli – rigetta il presidente della Repubblica, anzi lo odia e chiede le sue dimissioni. Quindi sarà sicuramente difficile parlare con questa popolazione direttamente. Presenterà alcune proposte per convincerli.
Ma soprattutto cercherà di influenzare il resto dei francesi che sostengono questo movimento - che è una cosa un po' diversa - con alcune proposte e soprattutto condannando le violenze.
Macron era riuscito a scalzare i partiti tradizionali con un discorso innovativo, da outsider, in cui anche la giovane età è stata un atout. Dopo un anno e mezzo sembra quasi essere al capolinea. Un percorso che ricorda quello di un altro giovane politico: Matteo Renzi che in breve tempo da rottamatore e stato rottamato. È un parallelismo che tiene?
Ci sono tante differenze tra i due uomini. Renzi ha fatto la politica, era membro del Partito Democratico. Ha avuto una formazione scolastica e accademica abbastanza scarsa e ha personalizzato il PD e sì, ha cercato di fare diverse riforme.
Macron ha un percorso più complesso. Ha fatto ottimi studi, è stato un alto funzionario, è stato banchiere; NON ha esperienza politica e ha CREATO il suo partito. Renzi ha fatto una personalizzazione del PD; Macron ha creato un partito personale.
Però ha ragione lei: entrambi hanno personalizzato totalmente la politica, hanno pensato che potevano giocare sul loro carisma, sulla loro immagine per cercare di fare riforme parlando direttamente al popolo, ignorando le organizzazioni sindacali e i corpi intermedi, anzi: criticandoli! Hanno dimenticato che ci vuole un po' di mediazione per fare le riforme, ci vuole pedagogia e parlare alla popolazione che si trova in grave difficoltà sociale.
E quindi è vero che l'itinerario di Renzi fa pensare un po' a quello che sta vivendo Macron, ma con una grande differenza: Macron può contare sulle istituzioni della quinta Repubblica e malgrado le proteste è un presidente della Repubblica appena eletto che ha ancora un mandato da terminare.
In Italia la caduta di Renzi ha aperto le porte a un governo bicefalo che cerca la quadratura del cerchio tra obbiettivi di destra e di sinistra. Oggi Macron si trova di fronte a un movimento dal basso che porta avanti rivendicazioni di destra e di sinistra, cui è difficile rispondere contemporaneamente. Anche qui sembra esserci un parallelismo.
Sì, ma è un parallelismo contenuto. I gilet gialli sono veramente un movimento nato dal basso tra la gente che ha un lavoro – non è la più povera - ma con impieghi subalterni e in condizioni difficile. Alcuni, come ricordava, fanno proposte che non sono sempre consensuali all’interno del movimento e queste proposte sono a volte completamente contraddittorie: chiedono meno tasse ma più servizi pubblici; chiedono una fiscalità più bassa, ma nello stesso tempo pretendono un aumento delle spese pubbliche. E soprattutto non hanno una forma di organizzazione: ogni volta che qualcuno si propone come rappresentante, è subito criticato dal resto del movimento e a volte minacciato fisicamente. Quindi mi sembra una cosa molto diversa da quello che è successo in Italia
Marc Lazar, come sociologo e esperto dei due paesi, quali lezioni trae da questi due percorsi? Chi vuol riformare con una spallata lo statu quo, rischia di essere a sua volta travolto da chi rigetta la classe politica tradizionale?
È vero che in Francia e Italia, ma in tanti altri paesi europei, ormai governare è molto difficile perché c'è un divario enorme tra l’élite, i responsabili politici e una grande parte della popolazione. Anzi: c'è un rigetto della classe politica, una sfiducia generalizzata verso le istituzioni e verso i partiti, verso i leader politici. Leader come Renzi e Macron che hanno cercato di presentarsi come outsider, come nuovi in politica - e che a volte hanno anche usato per vincere le elezioni un certo stile populista cercando di parlare al popolo direttamente - una volta al potere lo pagano fortemente. È veramente un enorme problema della democrazia in questi due paesi. Questo suppone una riforma democratica delle nostre istituzioni.