Gli imprenditori europei reagiscono negativamente alla proposta della Commissione europea di introdurre un web tax con un prelievo del 3% sul fatturato delle imprese digitali che hanno una cifra d’affari superiore agli 800 milioni di franchi di cui 60 realizzati nell’UE (si veda il correlato).
L’idea, come spiega alla RSI la presidente di Business Europe Emma Marcegaglia, non piace. E ciò anche se "non si tratta di difendere nessuna compagnia. Anzi gli ultimi fatti che riguardano Facebook sono molto negativi". La web tax non piace in primo luogo perché è basata su un ribaltamento completo dei principi sui quali da sempre si fondano i sistemi di tassazione. Ma non solo. Per la federazione del patronato una misura del genere non può essere decisa unilateralmente.
L'ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia
Perché la proposta non vi convince?
“Noi stiamo ai nostri principi – sottolinea l’imprenditrice ed ex presidente della Confindustria italiana -. I nostri principi dicono che un cambio di tassazione di questo tipo andrebbe coordinato a livello mondiale. Quindi non può essere fatto solo dall'Europa. In generale il principio è che: si tassano i profitti; non si tassano i ricavi. Perché è vero che ci possono essere casi particolari però, se poi si parte a cominciare a tassare i ricavi invece che i profitti, questo è diverso da quelli che sono i principi. Quindi la nostra opinione è che l'Unione Europea dovrebbe, se vuole andare avanti con questo, coordinarsi gli altri grandi blocchi mondiali”.
Però il livello multilaterale fino ad ora ha prodotto poche cose...
"Questo è vero. Però forse su un tema di questo tipo, visto che poi parliamo di aziende globali, credo che sia molto importante farlo perché altrimenti il rischio è che semplicemente queste compagnie magari investiranno meno in Europa e andranno a investire più in altri paesi dove manterranno una tassazione più conveniente”.
Una riflessione à côté. Sono tutte compagnie americane. Perché l'Europa non riesce a produrre qualcosa del genere?
“Perché l'Europa deve investire di più in ricerca e innovazione. Siamo indietro non solo rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, ma adesso siamo indietro anche rispetto alla Cina. Servono più investimenti pubblici, servono più investimenti privati, servono anche dei programmi europei che sostengano i finanziamenti, diciamo gli investimenti, delle aziende europee. Ma soprattutto servono quei finanziamenti in ricerca e innovazione che, poi, si trasformano in prodotti. È questo che manca in Europa”.
Diem/RG