In Iran continuano le proteste in varie località, malgrado gli sforzi delle autorità di calmare le contestazioni con discorsi moderati - come quello pronunciato domenica dal presidente Hassan Rohani - e con atti repressivi - sono oltre 450 gli arresti e una ventina le vittime. La Guida suprema, Ali Khameni, esprimendosi per la prima volta sull'argomento, ha accusato i nemici della Repubblica islamica di complottare contro il regime. Ma cosa si sa dell'origine e delle motivazioni delle proteste? Abbiamo sentito l'esperto ginevrino di origine iraniana Mohammed Reza Djalili, professore emerito dell'Istituto di Alti studi di Ginevra.
Professor Djalili, questa protesta in Iran ha caratteristiche particolari: si tratta di piccoli gruppi che sono però presenti in molte città del paese. Inoltre non si rifanno a nessun leader, neanché a Mir Hossein Musavi e Mehdi Karubi che erano stati alla testa del movimento verde nel 2009. Qual è la sua analisi?
"È una protesta che nasce da una frustrazione della popolazione sul piano economico, in particolare riguardo al potere d'acquisto. Velocemente però ha assunto una connotazione politica e di contestazione del sistema, del presidente Rohani e poi - importante - della Guida suprema e addirittura del potere del clero. Uno scontento popolare che si accumula perché le promesse di benessere economico in un paese ricco come l'Iran non sono mai state realizzate: si considera che negli ultimi dieci anni il livello di vita si è ridotto del 15 percento. E d'altro canto, è una contestazione a mio parere molto forte della politica regionale dell'Iran: dell'intervento in Siria, in Iraq eccetera. Si tratta di interventi molto impopolari perché la popolazione si rende conto che ci sono sempre i mezzi per aiutare il Libano, i palestinesi o Bashar al Assad, mentre le priorità della popolazione iraniana non vengono rispettate."
Secondo lei, c'è un vero legame di causa-effetto tra questi due elementi che ha citato: le difficoltà economiche e gli impegni dell'Iran all'estero?
"In ogni caso, la gente lega questi due fatti. Faccio un esempio: pochi giorni fa c'è stato un terremoto nell'ovest del paese e contemporaneamente si è saputo che l'Iran ha appena costruito 47 scuole per gli Hezbollah in Libano. Intanto la ricostruzione nelle zone colpite dal sisma tarda a venire. La gente è davvero furiosa. Gli iraniani sono coscienti che il paese ha i mezzi ma che la priorità del regime non è il benessere della popolazione, ma questa politica regionale costosa che la popolazione ritiene senza futuro."
Una teoria in voga è che queste proteste siano state sobillate da ambienti conservatori per mettere in difficoltà il presidente Rohani: cosa ne pensa?
"Sì. Le proteste sono iniziate giovedì nella città di Machad che è il feudo degli ultra-conservatori e di un rivale di Rohani. Ma gli organizzatori sono stati presto superati dagli eventi, perché si sono aggiunti manifestanti con slogan anti-sistema. Ora si sentono anche slogan che ricordano quelli della rivoluzione del 1979: allora si scandiva "libertà, indipendanza, repubblica islamica". Ora si dice: "libertà, indipendenza, repubblica iraniana"."
Un'altra ipotesi suggerita dalle autorità iraniane è che ci siano interessi stranieri che hanno manovrato attraverso internet e agenti infiltrati per alimentare la protesta.
"Molto spesso si fa riferimenti a complotti, ad esempio della stampa estera. È un'abitudine quella di spiegare le cose in questo modo. Ma la realtà è un'altra. Forse qualcuno ha soffiato sul fuoco, ma c'è un vero disagio sociale e una contestazione del sistema incapace di evolvere. Ogni volta che c'è un presidente riformatore o moderato, come ad esempio lo fu Kathamì, non solo i conservatori, ma la Guida suprema stessa mette il bastone tra le ruote a ogni riforma."
Queste proteste possono diventare davvero pericolose per il regime iraniano?
"Non credo, perché il movimento è diffuso nel paese ma non è organizzato: è senza leader. In realtà anche nel 2009 la leadership era debole e sconnessa dalla realtà del movimento stesso. Pure stavolta non vedo una direzione chiara di questo movimento."
Lucia Mottini