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"Uniamoci per difendere i diritti umani"

L'appello della segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard intervistata in occasione dei 60 anni della ONG

  • 28 maggio 2021, 15:52
  • 20 novembre, 20:20
Agnès Callamard

Agnès Callamard

  • Keystone
Di: Diem/RG-FG 

Amnesty International, una delle maggiori organizzazioni non governative di difesa dei diritti umani, oggi, venerdì, compie sessant’anni dalla sua fondazione avvenuta il 28 maggio 1961 quando su The Observer apparse un articolo dell'avvocato inglese Peter Benenson intitolato "The Forgotten Prisoners" (I prigionieri dimenticati), un appello per l'amnistia, nato dall'indignazione per la condanna a 7 anni di carcere di due studenti portoghesi, rei di aver brindato alla libertà in un caffè di Lisbona. Il suo impegno nella promozione indipendente e imparziale dei diritti umani è valso all'organizzazione che attualmente conta oltre 10 milioni di sostenitori: il Premio Nobel per la pace nel 1977, il Premio dell'ONU per i diritti umani nel 1978, la Colombe d'Oro per la pace nel 1991.

Peter Benenson

Il fondatore Peter Benenson

  • Amnesty International

L'ONG, presente anche nella Svizzera italiana, si oppone ugualmente a tutte le forme di tortura, alla pena di morte ed opera a favore delle persone incarcerate per motivi di coscienza, uomini o donne, le cui credenze, la loro origine o l'appartenenza religiosa o politica gli hanno valso la privazione della libertà. Si tratta di un'attività che non conosce sosta, come conferma la neo segretaria Agnès Callamard, intervistata dalla RSI. In questi giorni a far discutere a livello mondiale è anche la vicenda dell'arresto del dissidente bielorusso Roman Protasevich e della sua compagna russa Sofia Sapega tramite il dirottamento su Minsk di un aereo di linea europeo in volo tra due capitali dell’Unione europea. Amnesty International è subita scesa in campo chiedendone la liberazione immediata alla Bielorussia e sollecitando il resto del mondo a reagire.

Che significato dare a quest'ultima incarcerazione nell'ambito dei vari casi di cui vi occupate?

"Da alcuni anni abbiamo registrato un fenomeno inquietante che è quello di attaccare dei dissidenti anche all'estero. Tutti i paesi repressivi non si sentono più limitati dalle frontiere. Ciò fa parte di una netta degradazione nella protezione dei diritti umani. In disprezzo del diritto internazionale che protegge la sovranità nazionale degli Stati dove sono rifugiati i dissidenti.
Nel caso del dissidente bielorusso il Governo di Minsk ha utilizzato dei mezzi illegali nel proprio spazio aereo per rapire due oppositori, lui e la sua compagna russa. Ciò significa che tutti i dissidenti espatriati che prendano ora un aereo devono interrogarsi sulla rotta aerea che seguirà. Perché se sorvolasse il loro paese d’origine o un loro alleato dovrebbero inquietarsi di quel che potrebbe capitare loro".

Voi dite che siete solo dalla parte delle vittime: ma come esserlo in un conflitto come quello recente tra Israele e Palestina?

"Sia le autorità di Gaza sia quelle israeliane hanno commesso delle violazioni del diritto internazionale e crimini di guerra. I bombardamenti israeliani su Gaza erano sproporzionati ed hanno colpito pure obbiettivi civili. Così come i tiri di missili da parte di Hamas hanno preso di mira deliberatamente dei civili. Per cui erano pure loro delle violazioni del diritto internazionale e dei crimini di guerra.
La maggior parte delle vittime è a Gaza dove sono stati uccisi pure molti bambini. Per cui non è assolutamente vero che ci siano lo stesso numero di vittime da entrambe le parti: ce ne sono molte di più palestinesi. I bombardamenti israeliani hanno distrutto case e scuole sono quindi dei crimini di guerra e dire che ciò fosse a scopo solo difensivo è una scusa che non rispetta il diritto internazionale. Dobbiamo quindi denunciarlo così come le cause profonde del conflitto. Nel caso specifico le espulsioni di famiglie palestinesi a Gerusalemme Est per sostituirle con famiglie israeliane. Anche questi sono crimini di guerra per il diritto internazionale e dobbiamo pure denunciarlo. Ma tutto ciò non significa che non siamo più imparziali: ci basiamo sul diritto internazionale e ne denunciamo le violazioni".

In sessant’anni la lotta contro la pena di morte o la tortura ha fatto molti progressi: ma i diritti umani sono davvero meglio protetti?

"Ci sono stati molti progressi... ma bisogna far ben capire alla gente che da alcuni anni subiamo pure molti attacchi. Viviamo un periodo molto difficile per la protezione dei diritti umani. I cittadini di tutto il mondo - inclusi dunque quelli svizzeri - devono capire l'entità della sfida; siamo confrontati in effetti a una rimessa in discussione del principio stesso dei diritti umani. Ci sono paesi che vogliono cancellarli così come il diritto internazionale. Non vogliono più essere messi sotto osservazione nel modo in cui definiscono i rapporti tra Governo e cittadini e tra Stati. Rimettono in causa l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani. Ciò domanda un’unione di tutte le forze per combatterla e fronteggiarla efficacemente", conclude la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard.

Anniversario sottolineato in Svizzera

Il simbolo di Amnesty International

Il simbolo di Amnesty International

  • AI

Per l'anniversario la sezione svizzera di Amnesty International, il sui simbolo (la candela nel filo spinato), ha lanciato una campagna denominata "Spreading Hope since 1961" per raccontare i recenti successi ottenuti. Tra questi anche quello che, grazie ad un appello sottoscritto da oltre 180'000 persone, ha portato all'assoluzione in primo grado delle tre attiviste polacche per i diritti umani accusate di aver offeso la sensibilità religiosa poiché avevano inserito un arcobaleno nell'aureola della Madonna per protestare contro la discriminazione nei confronti della comunità LGBT. Oggi due di loro (Elžbieta e Joanna) alle 19.30 parleranno di quanto hanno subito in un collegamento Zoom con Amnesty Svizzera (per iscriversi cliccare qui).

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