Reportage

Voci dalla Libia, storie di sopravvivenza e speranza

Quando si parla del Paese nordafricano si pensa soprattutto al dramma di moltissimi migranti, ma c’è anche chi sogna un futuro migliore grazie ai giovani e all’innovazione

  • 2 ore fa
14:39

Libia, una ripresa è possibile?

Falò 28.01.2025, 21:20

Di: Emanuele Valenti/Falò 

A Tripoli si incontrano tantissimi migranti. A differenza di quello che siamo soliti pensare, la maggior parte non è nei Centri di detenzione, ma molti dei migranti che abbiamo incontrato nella capitale libica ci sono stati. “Le guardie sono tutte disumane - racconta ai microfoni della RSI Seku, 20 anni, dal Gambia, in un reportage andato in onda a Falò - e la prima cosa che fanno per rilasciarti è chiederti dei soldi. Ma ne vogliono troppi”.

Seku ha appena finito una partita di calcio in un campo improvvisato, una distesa di sabbia sotto un cavalcavia alla periferia di Tripoli. Ogni venerdì, giorno di festa nei paesi musulmani, si ritrovano qui diverse centinaia di migranti, soprattutto giovani da altri paesi africani.

La Libia è su una delle rotte migratorie più battute al mondo. Ma i drammi toccano anche i libici. Negli ultimi 15 anni questo Paese è passato dalla ferrea dittatura di Gheddafi, caduto nel 2011, a una lunga guerra civile le cui conseguenze sono evidenti ancora oggi. Omicidi, sparizioni, arresti senza processo, torture, sono ancora piuttosto frequenti, nella più totale impunità. In Libia ci sono oggi due governi ma non c’è uno stato. “In carcere ho visto le guardie chiudersi in bagno con i bambini. Li violentavano nella prigione”. Le parole sono di Mohamed, rimasto in prigione a Bengasi, dall’altra parte del Paese, per sette anni, con l’accusa di voler rovesciare il governo di Bengasi a beneficio di quello di Tripoli. Dopo una lunga trattativa, Mohamed ci ha ricevuti nella casa di alcuni amici, chiedendoci però di non rivelarne la posizione. Negli ultimi anni non ci sono stati quasi più scontri armati tra le diverse fazioni che controllano il Paese, ma la paura è ancora tanta.

Impossibile immaginare un futuro diverso? Impossibile pensare che un giorno le cose da queste parti possano andare diversamente? In effetti, ad alcuni questa terra ha offerto delle opportunità, nonostante i tanti problemi e le poche risorse. Anche ai cittadini stranieri, ai migranti, che non sono sempre venuti qua per tentare la traversata del Mediterraneo e raggiungere l’Europa, il mondo ricco. È il caso di Olabisi, arrivata qui dalla Nigeria nel 2015, che oggi fa la parrucchiera e gestisce un piccolo negozio che pubblicizza attraverso i social. “Mi hanno proposto più volte di mettermi in viaggio verso l’Europa – ci spiega Olabisi in una pausa dal lavoro nel suo negozio di Tripoli – ma non voglio rischiare la vita in mare. Ora ho anche due figli. Quel viaggio non fa per me”.

La speranza riposta nei giovani

Tra i libici a vedere e a cogliere le opportunità sono le nuove generazioni più istruite, per le quali è anche più facile lasciarsi alle spalle la cultura della violenza. Un ottimo esempio è Innovation Garden, incubatore e acceleratore di start-up, che aiuta i giovani imprenditori libici, tutti sotto i 30 anni, a trovare i primi finanziamenti e a muovere i primi passi sul mercato. Abdallah, per esempio, ha un’azienda agricola attraverso la quale sta provando a portare in Libia la idrocoltura, che utilizza l’acqua al posto della terra, ed è praticabile ovunque perché non dipendente dalle caratteristiche del suolo. “Sono convinto che possiamo dare molto al nostro Paese – ci confessa Abdallah in una delle sue serre – ci vogliono energia, produttività, determinazione e voglia di fare cose buone”.

A volte questa energia positiva la si può trovare anche tra i giovanissimi. In una scuola di Tripoli si ritrovano tutte le settimane i ragazzi del Quanta Team. Hanno tra i 14 e i 18 anni e sono i membri di una squadra di robotica. Nel 2024 hanno rappresentato il loro paese in una competizione internazionale a Houston, negli Stati Uniti, dove hanno portato un robot progettato, programmato e costruito tutto da loro. Anche senza quelle componenti solitamente indispensabili ma introvabili in Libia. “Voglio che la Libia sia il miglior Paese al mondo – ci confessa Emad, 15 anni – e voglio diventare il miglior programmatore al mondo, con una mia squadra di robotica”.

Probabilmente solo questi ragazzi potranno mettere fine alla notte libica, durata già troppo tempo.

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