La popolazione di elefanti africani vantava all'inizio dell'Ottocento più di 20 milioni di esemplari. Un secolo dopo, la sua popolazione era scesa a 5 milioni. Negli anni '70 si raggiunge la già drammatica cifra di 1,3 milioni. Oggi, le stime ufficiali parlano di un numero che si aggira tra i 470 e i 690'000, ma associazioni ambientaliste e Ong pensano che in Africa ne vivano ormai solo 300'000.
Le prime campagne per salvare l'animale dalle grandi zanne partirono nel 1989 quando il Regno Unito, gli USA e gran parte dei paesi europei vietarono l'importazione e l'esportazione di avorio. Quello stesso anno, a Losanna, i 103 stati che avevano aderito alla Cites (la Convenzione sul commercio internazionale delle specie protette nell'ambito della quale si è sviluppato l’Elephant Trade Information System) inserirono gli elefanti nell'elenco delle specie a rischio di estinzione, e vietò così il commercio internazionale di avorio. Il divieto funzionò per un po', poi, con la complicità dei governi africani desiderosi di rispondere alla domanda di avorio proveniente dalla Cina, i massacri ricominciarono.
Così, a 15 anni da quel 1989, la presa di coscienza da parte dei leader mondiali del dramma africano è passata ancora da un grande gesto mediatico, quello deciso dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Un'azione che ricorda tanto quello che portò a compimento l'allora presidente keniano Daniel arap Moi, che davanti alla stampa del mondo intero diede fuoco ad una piramide composta da 2'000 zanne di elefante.
Negli ultimi mesi gli sforzi per tutelarli e combattere il traffico di avorio si sono intensificati.
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