“Di fatto l’unica cosa che permette di spiegare la non binaria è ciò che non è”. La testimonianza è di Alias, 26 anni, persona non binaria che studia all’università di Losanna. Alla RSI, in un’intervista, spiega cosa vuole dire riconoscersi nel terzo sesso e non nella dicotomia “maschio”, “femmina”.
“Una persona non binaria - continua il 26enne - è un individuo che non si riconosce né nel genere uomo né nel genere donna. Da qui, però, ci sono un sacco di sfumature ed è questa la parte difficile, perché si cerca di definire qualcosa che di principio vuole non essere definito in maniera chiara. Perché si tratta di un insieme di esperienze che possono essere molto diverse da persona a persona. Ci sono veramente tantissime sfumature”.
Come è stato il suo percorso di scoperta della non binarietà?
“Per me è stato possibile capire che ero parte di questa comunità solo cominciando a confrontarmi con persone della comunità LGBTQ+. Questo perché già non sapevo che esisteva. Nel corso della mia adolescenza era un tema di cui non avevo mai sentito parlare. Già questo rende difficile riconoscersi in qualcosa se non si sa che esiste. Tuttavia, per tutto ciò che è stato appunto il mio percorso, ho sempre avuto l’impressione di essere fuori posto. Questo nei gruppi di amici, quando ero più piccolo, fino alle medie quando ho avuto l’impressione più forte che c’era qualcosa che non funzionava. Era soprattutto la difficoltà a riconoscermi nel gruppo delle ragazze o nel gruppo dei ragazzi. Nel cercare di creare delle interazioni, dei legami con delle persone, mi trovavo sempre in difficoltà su quelle che erano le cose importanti per gli altri, e su tutta una serie di norme che non ho mai capito”.
Quando ha avuto questa percezione più forte?
“Soprattutto nell’adolescenza perché è il momento in cui ci si definisce, si struttura la propria identità. Allora per me non c’era semplicemente una chiarezza, per cui mi sono estraniato dagli altri gruppi. Stavo da solo perché non riuscivo a ritrovarmi negli altri. Arrivando all’università, ho cominciato a farmi delle domande perché osservavo le persone attorno a me e mi rendevo conto che avevano già trovato un compagno, una compagna. In quel momento ho iniziato ad interrogarmi prima di tutto sulla mia sessualità. Quella è stata la porta di entrata. Tuttavia, quando ho esplorato effettivamente questo ambito, incontrando persone della comunità, ho capito che c’era ancora qualcosa che non funzionava. Quando ho cominciato a incontrare prima persone trans e poi persone non binarie mi sono ritrovato completamente nei loro racconti su come si sentivano per rapporto agli altri, su quale era il rapporto con il loro corpo e la loro identità. Finalmente ho avuto una chiave per capire tutto ciò che non aveva avuto senso prima”.
Una volta preso coscienza poi come funziona? Il percorso come continua?
“Quando ho capito abbastanza, ho avuto un momento di panico. Perché mi sono reso conto cosa voleva dire staccarsi da queste norme. Io sono sempre stato riconosciuto come una ragazza, quindi avevo tutta una serie di preconcetti e di idee di quello che era anche il mio futuro nella vita. Quindi mi sono ritrovato di fronte a qualcosa che rimetteva tutto in questione. Dovevo ricostruire l’identità partendo da qualcosa che veniva da me, ma che non era strutturato socialmente come l’essere donna o uomo. Importante è stato frequentare gruppi di persone non binarie e attraverso i loro racconti, riuscire un po’ a capire più di me. Sapendo che comunque il percorso è veramente personale. È stato importante soprattutto comprendere che questa cosa esiste. Ovvero che io effettivamente sono una persona non binaria. Come reagisco? A quel punto tutto è stato molto sperimentale. Ho cominciato a vedere se cambiando il nome stavo meglio con me stesso. Cambiando il mio modo di vestirmi, il mio modo di definirmi, cambiando i pronomi. Un passo alla volta sono riuscito a costruire quello che è veramente il mio sentirmi bene”.
Essere non binari, la testimonianza di Alias
SEIDISERA 13.05.2024, 18:16
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