Svizzera

Altman: “IA può avere benefici, ma anche andare male”

Il CEO di OpenAI ha affermato durante il WEF di comprendere il nervosismo che gravita intorno all’intelligenza artificiale

  • 19 gennaio, 07:22
  • 19 gennaio, 18:17
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RG 07.00 del 19.01.2024 - Il servizio di Christian Gilardoni

RSI Info 19.01.2024, 07:08

  • Keystone
Di: ATS/RSI Info 

Il mondo è entrato in una nuova rivoluzione tecnologica ma non sa ancora se temerla o cavalcarla. L’intelligenza artificiale (IA) è il grande tema su cui si interrogano i protagonisti del Forum economico mondiale (WEF) di Davos, cercando di tracciare una rotta che tenga conto sia dei rischi ma anche delle grandi opportunità. Ancora tutte da scoprire.

Nella località grigionese c’è una persona che non ha mai tregua e che stringe più mani di un capo di Stato. Si chiama Sam Altman, ha 39 anni, ed è l’uomo del momento: è il fondatore e amministratore delegato di OpenAI, la società che ha creato ChatGPT, la prima tecnologia in grado di rispondere e comunicare quasi come un essere umano.

Altman è consapevole di avere per le mani il futuro dell’umanità, e non ci tiene a rassicurare la platea. L’Intelligenza artificiale “è una tecnologia molto potente ma non sappiamo bene cosa possa succedere. Questo è vero per ogni rivoluzione tecnologica. È facile immaginare che abbia un impatto massiccio sul mondo, che potenzialmente può andare molto male”, ha detto nella sessione che lo attendeva per discutere di “Tecnologia in un mondo turbolento”.

Il titolo del dibattito contiene già una premessa che guarda ai rischi della nuova era industriale: in un mondo agitato dalle guerre e sempre più diviso dalla frattura Nord-Sud ed Est-Ovest, cosa succederebbe se l’intelligenza artificiale finisse nelle mani sbagliate? “È bene che le persone abbiano paura, possiamo imparare dalle lezioni del passato, come tecnologia può essere governata, si possono fissare soglie di sicurezza”, ha detto Altman, spiazzando la platea che si attendeva messaggi più rassicuranti.

Ma la sua chiave è la trasparenza, perché non bisogna nascondere i rischi di uno strumento che potenzialmente non ha confini e che spaventa anche i suoi padri. Nessuno può infatti assicurare che in futuro verrà utilizzata soltanto per scopi benefici, ad esempio in medicina per aiutare a prevenire il cancro o nella protezione civile per individuare gli incendi più rapidamente. O ancora, come è stato spiegato a Davos, per aiutare a gestire il ciclo dell’acqua, riuscendo ad ottimizzarne l’uso anche facilitandone il riutilizzo, quindi contrastando la dispersione idrica.

La presidente della BCE Christine Lagarde, ad esempio, preferisce procedere con cautela: con l’Intelligenza artificiale “facciamo raccolta dati, ma non la usiamo per determinare la nostra politica monetaria, non credo che quel tempo sia arrivato ancora”, aveva spiegato nei giorni scorsi a Davos. Mentre la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, vuole per l’UE un posto da leader del settore, convinta che sia la chiave per aumentare la produttività a una velocità senza precedenti.

Ma come si fa ad andare avanti sapendo che i rischi sono pari almeno alle potenzialità? Ci vuole un salto di fede, come in tutte le rivoluzioni. Per Altman “il metodo è mettere la tecnologia nelle mani delle persone, e vedere come convivono, come evolve”. Nel frattempo, le istituzioni devono studiare delle regole che impediscano alle macchine super intelligenti di spingersi in aree pericolose, dove l’uomo non può rischiare di perdere il controllo sulle sue decisioni.

Per Nick Clegg, presidente di Meta, non siamo ancora a questo punto perché l’intelligenza artificiale attualmente “è più stupida di quanto pensiamo”. Anche l’impatto sull’occupazione, che preoccupa il Fondo monetario internazionale, è tutto da dimostrare perché i posti di lavoro non più utili potrebbero semplicemente essere sostituiti da nuove esigenze. Altman non ha la risposta a tutte le domande, ma traccia la rotta: vale la pena lanciarsi, e la paura di un atterraggio doloroso aiuterà a mantenere alta la guardia.

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