La Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza resa nota martedì, ha stabilito che l'afghano di religione cristiana che le autorità elvetiche vorrebbero rispedire in patria non può per ora tornare nel suo paese perché sarebbe esposto al rischio di persecuzione e perché la sua vita sarebbe in pericolo. I giudici di Strasburgo hanno quindi accettato all'unanimità il ricorso inoltrato dal protagonista del caso.
Il ragazzo, che ha 23 anni, è d'etnia hazara e risiede in Ticino, è giunto nella Confederazione nel marzo del 2014 e ha chiesto asilo. A suo dire ha lasciato la terra natia per ragioni di sicurezza dopo essersi convertito. Ragione non plausibile per la Segreteria di Stato della migrazione e per il Tribunale amministrativo federale, che pure ritengono autentico il cambiamento di fede. Magari -affermano- non potrebbe stabilirsi nella sua provincia, dove il fondamentalismo islamico è un dato di fatto, ma non avrebbe problemi trasferendosi a Kabul, dove vivono zii e cugini, tra l'altro non informati della nuova credenza del parente, che ha ricevuto il battesimo in Svizzera.
Ai magistrati sangallesi viene però rimproverato di non aver eseguito un esame rigoroso e approfondito e d'aver implicitamente invitato l'interessato, consigliandogli di non dichiarare le sue nuove convinzioni, a vivere nella menzogna.