Secondo la Banca nazionale svizzera (BNS) e l'autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari (FINMA) non esiste un rischio di contagio diretto tra quanto è successo negli Stati Uniti con il fallimento di due banche e il mercato finanziario svizzero. Grazie all'ampio pacchetto di riforme Basilea III, nella Confederazione le esigenze con cui sono confrontate le banche elvetiche sono molte severe e garantiscono stabilità. Questo vale ancor più per Credit Suisse (CS), che è una delle cinque istituzioni finanziarie svizzere considerate sistemiche, quindi con requisiti di capitale più severi.
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La Banca nazionale svizzera si è infatti detta pronta, in caso di bisogno, a mettere a disposizione della seconda banca elvetica la liquidità necessaria, fino a 50 miliardi. E CS, durante la notte, ha comunicato che usufruirà di questa possibilità, dichiarando di voler utilizzare una linea di credito garantita da titoli per 39 miliardi di franchi.
Nel comunicato rilasciato mercoledì sera, Credit Suisse ribadisce la solidità dell'istituto in tema di parametri di sicurezza e di capitale. La banca afferma che i fondi serviranno a rassicurare la clientela e a continuare nell'opera di trasformazione della banca. Una mossa che si spera possa rassicurare i mercati dopo che ieri il titolo a Zurigo ha perso il 25% del suo valore, chiudendo a un franco e 69 centesimi.
Le differenze dal 2008
Già in passato BNS e FINMA erano dovute intervenire a sostegno di una grande banca svizzera. Era il 2008 e la banca in grave crisi era l'UBS. Ma che differenza c'è tra la situazione attuale e quella di allora?
"C'era un grosso buco e consisteva in una perdita possibile su degli attivi a bilancio molto importanti" risponde a questo riguardo Carlo Lombardini, esperto di diritto bancario. "Però la strategia di business di UBS era sana e, coperta la perdita, la situazione si poteva gestire". Come è infatti successo; UBS dal 2008 è riuscita a ritrovare la sua stabilità.
Invece, per quanta riguarda il credito svizzero la situazione è diversa: rispetto al bilancio, ci "son tanti piccoli buchi, di cui nessuno per sé è pericoloso". "L'accumulazione di queste piccole perdite tuttavia suggerisce alla clientela e agli investitori che la direzione non è capace di fare il suo mestiere o che affronta una situazione che le scappa di mano", spiega l'esperto di diritto bancario e semplifica: "è un segno che c'è qualcosa che non va in questa banca".
Anche Giovanni Baroni Adesi, professore emerito di teoria finanziaria all'USI di Lugano, condivide l'analisi. La situazione infatti "è molto diversa dal 2008", sostiene, e aggiunge che, a differenza di UBS, "dal punto di vista della capitalizzazione, Credit Suisse è a posto, non corre assolutamente nessun grosso rischio". Il problema maggiore è dunque da ricondurre alla condotta che l'istituto ha tenuto negli ultimi anni. "L’istituto infatti ha fatto molti errori nella gestione passata e quindi non gode della fiducia dei mercati, diventando un facile obbiettivo" degli azionisti, che mercoledì hanno fiutato l'occasione di speculare contro il CS. Secondo il professore quindi, "non c’è nessun rischio di fallimento”.
Salvataggio o sostengo?
"Di sicuro è arrivato un intervento per CS, ma anche su diverse pressioni internazionali, dagli Stati Uniti, dalla Francia ma anche da altri ambienti, perché questa storia stava destabilizzando i mercati" dichiara a questo riguardo Luca Fasani, giornalista economico della RSI, precisando come il sostegno sia stato dato per risolvere i problemi di "liquidità, non di solvibilità”. La banca infatti ha disponibilità finanziaria ma è messa sotto pressione dalla partenza di clienti che ne mettono in forse la liquidità. L’intervento della BNS è quindi mirato a ristabilire la fiducia dei clienti.
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A questo riguardo si è anche pronunciato il professore di macroeconomia dell'Università di Friburgo Sergi Rossi, spiegando come il rischio di liquidità possa tramutarsi "rapidamente in un problema di insolvenza". Nello specifico il rischio si concretizza nell'impossibilità di pagare i debiti con scadenza nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. “Questo rischio rimane latente” e mina sia “la fiducia degli azionisti che dei depositanti”. L’intervento della BNS mira dunque ad ostacolare una potenziale “corsa agli sportelli, che sarebbe drammatica per CS ma anche per una serie di altre banche” in Svizzera e nel mondo.
In tal senso, l’unica via d’uscita era quindi quella di riguadagnare “la fiducia e chiedere soldi alla Banca nazionale svizzera”, chiosa su questo punto Fasani.
Effetto domino?
Gli attori cambiano, ma il copione sembra lo stesso. Il timore più diffuso fra gli osservatori è che come nel 2008 si possa innescare un effetto domino. Il sistema bancario odierno infatti è “estremamente interconnesso”, spiega Rossi, “se una banca fallisce anche le altre banche sono a rischio di fallimento o prossimi a una crisi di illiquidità”.
A titolo esemplicativo, bisogna sapere che ogni giorno le banche sulla piazza finanziaria svizzera si scambiano reciprocamente “circa la metà del prodotto interno lordo che ammonta a 780 miliardi di franchi”. Su questa scacchiera strettamente correlata, la caduta di un pezzo può determinata la caduta di tutti gli altri.
La corsa agli sportelli presso la Silicon Valley Bank
La sottile linea che lega Zurigo alla Silicon Valley
Come già detto, "quello che è avvenuto è stato un panico dei depositanti, innescato dalla sciagurata gestione di alcune banche in America". Il giudizio di Baroni Adesi allude chiaramente alle vicende che venerdì scorso hanno riguardato i due istituti bancari statunitensi Silicon Valley Bank e Silvergate Bank.
“C’è un legame diretto nella misura in cui CS aveva delle azioni legati a questa Silicon Valley Bank. Ma soprattutto c’è un legame indiretto" spiega Rossi, indicando come "CS non riceve più fiducia dai mercati finanziari a causa degli scandali legati a Archegos e Greensill”. In particolare “ci sono delle criticità rispetto alla solidità del bilanci e delle strategie di Credit Suisse”. Inoltre la maggior parte dei problemi dell’istituto svizzero sono da ricondurre alla sua banca di investimento. “In questa banca CS ha investito non solo i propri fondi, ma anche quelli della propria clientela”.
Nel paniere anche criptoasset, attività molto problematiche
I clienti che hanno affidato i propri risparmi temono di poterli perdere. “Questi soldi sono stati investiti in maniera speculativa da parte di CS in attività che sono molto problematiche” spesso legate ai cosidetti “criptoattivi”, operazioni finanziarie legate alla criptosfera che nell’ultimo anno ha mostrato grande fragilità e registrato numerose perdite.
Se l'intervento tempestivo della Banca centrale sembra aver calmato gli animi sulle piazze finanziarie internazionali, adesso le sorti di Credit Suiss sembrano nelle mani dei clienti. Saranno pronti a rinnovare la loro fiducia?
Da Modem:
Il tonfo del Credit Suisse
Modem 16.03.2023, 09:10
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