Svizzera

"Disgustato dalla 'ndrangheta"

Si è tenuto il primo giorno del processo a un presunto intermediario delle cosche. Nel suo garage di Bienne aveva un arsenale

  • 30 agosto 2018, 23:16
  • 23 novembre, 00:28
02:12

Ndrangheta, nuovo processo in Svizzera

Telegiornale 30.08.2018, 22:00

"Non so, non ricordo", ha risposto così giovedì in aula il 60enne italiano alle maggior parte delle domande poste dalla corte del Tribunale penale federale. Secondo la Procura federale però le accuse a suo carico sono pesanti: organizzazione criminale, ricettazione, infrazione alla legge federale sulle armi, denuncia mendace e subordinatamente sviamento della giustizia. Reati perpetrati dal 2001 per una quindicina di anni.

"Amicizie" pesanti

Nel primo giorno del dibattimento si è ripercorsa la sua vita. Giunto nel Canton Berna nel 1979, rientrato per qualche tempo a Torino a inizio anni 2000 apre un night che fallisce subito. Poi rientra in Svizzera.

Calabrese, con un lungo curriculum criminale alle spalle, aveva “amicizie” pesanti: affiliati di primo piano delle cosche impiantante in Piemonte e boss della locale di Giussano e Seregno coinvolti in svariati procedimenti italiani. E sono proprio due di loro a fare il suo nome quando nel 2012 finiscono nelle maglie dell’inchiesta "Ulisse", coordinata dall’allora capo dell’antimafia di Milano Ilda Boccassini.

Durante il dibattimento in aula giovedì a un certo punto l’uomo si è distanziato dall’organizzazione criminale: "Sono disgustato dalla ‘ndrangheta, non ne ho mai fatto parte".

"Un arbitro del crimine"

Lui però - secondo l’accusa - era un intermediario, un messaggero dei boss in Svizzera. E ad alcuni di loro il 60enne ha organizzato soggiorni in alberghi elvetici di amici, dove non venivano rintracciati. Nel nostro paese si rifornivano di armi e munizioni. Nel suo garage di Bienne la polizia ha sequestrato un vero e proprio arsenale.

Un luogo dove si recavano anche piccoli criminali che gli chiedevano di risolvere problemi. "Perché nel 2015 venne un italiano che aveva un debito di 8'000 franchi con un clan di albanesi per chiederle di aiutarlo ad appianarlo? Cosa faceva in quel garage, una sorta di arbitrato?", gli ha rimproverato in aula il presidente della Corte, il giudice Roy Garré.

Il processo continuerà la settimana prossima quando verranno sentiti in video conferenza i due pentiti come persone informate sui fatti. La sentenza verrà pronunciata in data ancora da definire.

Mattia Pacella

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