Ad alcuni il suo nome non dirà molto, ma per gli appassionati di nuove tecnologie e Web, Richard Stallman è una sorta di icona. Un vero e proprio nerd tutto computer e libertà civili, ma anche un santone e soprattutto un passaggio obbligato se si vuole comprendere quella che viene definita “rivoluzione digitale” degli ultimi 30 anni.
Dietro al suo aspetto, a dir poco bizzarro; a quel suo presentarsi a piedi scalzi durante le conferenze che tiene in tutto il mondo; alle sue posizioni politiche da attivista per i diritti civili (strenuo sostenitore di Bernie Sanders alle presidenziali negli Stati Uniti); dietro a quel rigore, a quella ossessione, e quella pignoleria che da sempre mette a dura prova la pazienza di amici, colleghi e giornalisti, in realtà, si cela però un enfant prodige senza il quale parte delle applicazioni che esistono oggi, probabilmente, non ci sarebbero.
E’ lui, infatti, l’indiscusso padre del movimento del software libero.
Tutto inizia nel 1983. Siamo nel laboratorio di intelligenza artificiale di uno dei templi della tecnologia mondiale: il
Massachusetts Institute of Technology di Boston negli Stati Uniti. Qui, Richard Stallman lavora da 13 anni, ma tutto d’un tratto il mondo a cui lui e tutti gli sviluppatori del tempo sono abituati, crolla sotto la pressione di un nuovo protagonista che fa il suo ingresso nel mercato: il personal computer. Non più ingombranti calcolatori gestiti da ingegneri in camice bianco o da programmatori universitari, ma piccoli scatolotti destinati alle famiglie. Uno fra tutti: il primo, indimenticabile, Macintosh 128K di Apple lanciato per l’appunto il 24 gennaio 1984 all'auditorium Flint del De Anza Community College di Cupertino in California da un certo
Steve Jobs.
Steve Jobs, l'enfant prodige di Apple
Prodotti commerciali, dunque, che aziende come Apple, a quel punto, proteggono da occhi indiscreti che potrebbero copiarne e rivenderne l’idea. E l’idea si chiama “codice sorgente”, ovvero lunghe righe di un linguaggio incomprensibile ai non addetti, scritte una dopo l’altra dagli sviluppatori, e che insieme fanno funzionare un computer. Il cuore, le istruzioni, l’ingrediente segreto di un oggetto che rivoluzionerà il mondo vanno quindi nascoste. E così viene imposto un pesante freno alla collaborazione che caratterizzava il lavoro di gran parte dei programmatori e dei sistemisti dell'epoca, soprattutto con patti di non divulgazione che le nascenti dotcom cominciano a far firmare agli sviluppatori che assumevano. Lo chiameranno “software proprietario”, in contrapposizione al “software libero”, dove invece il codice sorgente è completamente accessibile e nessuno può “chiuderlo” o impedirne la libera distribuzione o la vendita.
Stallman tra presente, passato e futuro
Da allora per Stallman e per tutto quel mondo che aderirà alla filosofia del software libero, tuttavia, l’idea di un mondo in cui un computer o un qualsiasi altro prodotto digitale sia sotto il controllo di un proprietario era e resta intollerabile e soprattutto rischioso. E da oltre 30 anni la Fondazione per il software libero, creata da Richard Stallman, sviluppa un proprio sistema operativo, GNU/Linux, che ha dato il via a un vero proprio movimento alternativo in tutto il mondo, da cui deriva il forse più noto movimento “open source”.
Un personaggio unico, questo è Richard Stallman. Un attivista della prima ora, oltre che un esperto informatico, in visita in Svizzera lo scorso febbraio, ospite prima a Zurigo, poi a Friburgo e infine a Sierre. Nel nostro paese per tenere una serie di conferenze sui rischi informatici e sulla sicurezza digitale, invitato nel Vallese dal centro per le nuove tecnologie TechnoArk, dove la RSI lo ha incontrato.
Riccardo Bagnato
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