La notizia di partenza: Un cubano di 47 anni, scarcerato dopo aver scontato una pena per tentato stupro e per il quale è stata ordinata l’espulsione verso il suo Paese d’origine, non può farvi ritorno perché Cuba non accetta rimpatri di pregiudicati per reati penali. Le autorità ginevrine lo avevano pertanto rimesso (ingiustamente) in detenzione, ma ora il Tribunale federale – con una sentenza di qualche giorno fa – ne ha ordinato la liberazione.
Il problema degli allontanamenti non eseguibili non riguarda però solo Cuba ma anche altri Paesi come Eritrea, Iran e in parte l'Algeria. Reintrodotta la pena accessoria dell'espulsione ed entrate in vigore le norme per l'espulsione dei criminali stranieri, da subito ci si rese infatti conto che non tutti gli allontanamenti sarebbero stati possibili; anche per chi è stato condannato per terrorismo. La Svizzera, in ossequio al diritto umanitario internazionale, non espelle per esempio persone verso Paesi dove potrebbero essere torturate o uccise, come Siria o Iraq. In questi casi vengono in aiuto le nuove misure preventive di polizia, che rendono questi individui dei sorvegliati speciali al minimo indizio di recidiva.
Poi però ci sono altri Paesi che non si riprendono i propri cittadini, per svariati motivi. Come appunto il caso di Cuba. "Si tratta di pochi casi all'anno e succede quando ad esempio una persona non rivela la propria identità e noi non possiamo attestarla - ci spiega Reto Kormann, del servizio comunicazione della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) - Il presunto Paese d'origine, dunque, non l'accetta. Altre volte è invece la situazione o la legislazione estera che non permettono l'espulsione coatta e a questo punto la situazione si complica. Accanto a Cuba può succedere con l'Eritrea o con l'Iran".
Il carcere amministrativo in attesa dell'espulsione non va quindi bene, come decretato dal TF, ma l'esecuzione delle misure resta in ogni caso competenza dei cantoni. Berna però qualcosa può fare ed è dialogare con i Paesi in questione. Sembrerà una parola vuota o un paravento... eppure con l'Algeria ha funzionato.
"Non è che il problema sia propriamente risolto, ma è pur vero che il dialogo costante e impegnativo con le autorità algerine ha permesso di aumentare il numero di loro cittadini accolti in seguito ad un'espulsione dalla Svizzera" prosegue Reto Kormann della SEM che, alla domanda se però non sia il caso di agire anche pubblicamente e ufficialmente fra Berna e le rispettive capitali risponde: è un lavoro diplomatico che spesso va svolto dietro le quinte. "Perché talvolta i Paesi in questione non hanno molto interesse a comunicare verso l'esterno quanto accade e si cerca di risolvere".
Capovolgendo infine la prospettiva: come si comporta la Svizzera coi propri cittadini a parti invertite? Il problema si è già posto ed ha riguardato di recente i combattenti dell'ISIS. La soluzione? Cercare di tenerli all'estero, dove si spera possano essere processati, senza procedere a rimpatri attivi. Parole della consigliera federale Karin Keller Sutter.