La Confederazione, nonostante la grave instabilità in Afghanistan, non accoglierà gruppi di cittadini afghani in fuga. Valuterà tuttavia richieste di ammissione individuali, mentre ha ribadito l'impegno a portare in Svizzera i collaboratori locali e i cittadini svizzeri ancora bloccati nel Paese. Il Consiglio federale ha infatti deciso di non approvare la richiesta di varie organizzazioni che chiedevano l'ammissione immediata nella Confederazione, senza ostacoli burocratici, di migliaia di cittadini afghani in fuga. "La situazione è molto volatile, cambia continuamente, a una velocità quasi mai vista. È difficile per il momento dire quali saranno le conseguenze per le persone, la geopolitica e gli interessi della Svizzera", ha sottolineato in conferenza stampa Ignazio Cassis.
Le domande d'asilo presentate da cittadini afghani in Svizzera sono esaminate dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) in procedura ordinaria. Chi è in pericolo continua comunque a ottenere l'asilo o l'ammissione provvisoria. Da un lato, secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, le informazioni precarie non consentono ancora di individuare l'eventuale necessità di un reinsediamento. Dall'altro, la situazione caotica delle partenze dall'Afghanistan rende impossibile un tale intervento anche in termini operativi, per quanto Karin Keller-Sutter abbia manifestato "comprensione per le richieste ricevute". Dal momento in cui lo UNHCR dovesse definire un bisogno, anche la posizione elvetica potrebbe cambiare, ha precisato.
Il diritto elvetico, ha ricordato il Governo, prevede la possibilità di chiedere un visto umanitario presentandosi di persona in una rappresentanza svizzera all'estero, ma va dimostrata una minaccia concreta, diretta e seria. Secondo la prassi corrente occorrono inoltre rapporti stretti e attuali con la Svizzera; per i familiari più stretti esiste invece la possibilità - a determinate condizioni - di un ricongiungimento.
Ignazio Cassis sulla situazione in Afghanistan
Telegiornale 16.08.2021, 22:00
Visto umanitario per collaboratori locali
La Svizzera sta tuttavia cercando intensamente un modo per far espatriare il personale locale dell'ufficio di coordinamento della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) di Kabul. Il Consiglio federale ha ribadito l'intenzione di accogliere nella Confederazione una quarantina di collaboratori locali insieme alle loro famiglie, per un totale di circa 230 persone che otterranno un visto umanitario.
I dipendenti di Stati e organizzazioni occidentali potrebbero infatti essere in pericolo dopo l'avvento al potere dei talebani, ha sostenuto l'Esecutivo, sottolineando che in quanto datore di lavoro è un suo dovere assistere e proteggere i collaboratori. "La loro vita è minacciata", ha sottolineato davanti ai media Karin Keller-Sutter.
I 230 cittadini afghani saranno computati nel contingente di reinsediamento di 800 persone approvato dal Consiglio federale per il 2021, ha precisato il Governo. A essi verrà concesso l'asilo non appena giungeranno in Svizzera: in quanto collaboratori della DSC, hanno già comprovato la propria identità e superato i controlli di sicurezza e pertanto "si rinuncia alla procedura ordinaria".
I tre collaboratori svizzeri sono rientrati
La Svizzera nel frattempo continua a impegnarsi anche per far uscire dal Paese i cittadini svizzeri ancora bloccati in Afghanistan. Già lunedì, Cassis aveva confermato che tutti e sei i membri elvetici della rappresentanza svizzera a Kabul avevano lasciato il Paese. Tre erano già partiti venerdì scorso, mentre gli altri tre - partiti da Kabul domenica scorsa e atterrati inizialmente a Doha, in Qatar, a bordo di un aereo statunitense - sono giunti in Svizzera martedì sera.
Il compito delle evacuazioni, ha spiegato ancora Cassis, è complicato dal fatto che per il momento a Kabul, dove l'aeroporto è controllato dai soldati statunitensi, non è autorizzato l'atterraggio di velivoli civili. Una situazione che potrebbe però ancora cambiare. La via di Terra "non è al momento praticabile", ha chiarito Hans-Peter Lenz, incaricato di gestire le situazioni di crisi al DFAE. Un distaccamento dell'esercito è stato inviato sul posto per partecipare all'operazione: dopo aver fatto tappa a Tashkent, ha raggiunto Kabul, ha spiegato Cassis.
Dal 2002, Berna dispone di un ufficio di cooperazione per l'attuazione dei programmi della DSC a Kabul. Le relazioni politiche con l'Afghanistan sono invece mantenute tramite l'ambasciata svizzera di Islamabad, in Pakistan. Quest'ultima è ora in contatto con i cittadini svizzeri rimasti in loco: finora una trentina di loro ha manifestato il desiderio di lasciare il Paese. Fra di essi ci sono anche collaboratori del Comitato internazionale della Croce Rossa e di altre organizzazioni di aiuto, ha precisato Cassis.
Dopo l'avvento al potere dei talebani, la situazione in Afghanistan è più che mai incerta. La scorsa domenica il Dipartimento federale degli affari esteri ha temporaneamente chiuso l'ufficio di coordinamento della DSC di Kabul. Al momento non è chiaro quando e come la DSC potrà riprendere il proprio lavoro a Kabul, anche se l'intenzione, ha detto Cassis, è che la chiusura sia solo temporanea e quindi di "proseguire l'impegno" non appena possibile. Vista la situazione in loco, la SEM dal canto suo aveva già deciso lo scorso 11 agosto di sospendere fino a nuovo avviso l'esecuzione degli allontanamenti passati in giudicato.
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