Ormai è un dato inequivocabile. Le emissioni di CO2 che determinano il riscaldamento globale sono dovute, principalmente, all'uso dei combustibili fossili: sostanze derivate dal petrolio e dal gas naturale rimasti nelle viscere della terra, prima della loro estrazione, per milioni e milioni di anni. La combustione di queste fonti finisce per rilasciare inevitabilmente CO2 nell'atmosfera. Ed è la concentrazione sempre più elevata di questo gas a causare i mutamenti climatici e gli scenari allarmanti ad essi legati: scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, desertificazioni.
Le emissioni di CO2 nell'atmosfera continuano ad aumentare
Che fare, per scongiurarli? La via maestra, evidentemente, consiste nel prevenire le emissioni alla radice attraverso il ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Ma il loro sviluppo e sfruttamento richiede tempo, mentre le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera continuano a crescere. Esiste allora un sistema per contribuire a tagliarle in misura più o meno sistematica? La ricerca scientifica ha già da tempo individuato una soluzione che, se implementata su grande scala, potrebbe rappresentare davvero una svolta: l'obiettivo è quello di "catturare" le emissioni di CO2 per poi immagazzinarle nel sottosuolo. Riportando così il carbonio della CO2 a quelle profondità dove un tempo si trovava, imbrigliato nei giacimenti di idrocarburi.
I metodi per catturare la CO2
Non si tratta beninteso di una soluzione avveniristica, ma di una via che viene percorsa già da anni in diversi Paesi. Si tratta di consolidarla. E la Svizzera, sul fronte delle ricerche in questa direzione, spicca ormai da tempo per la sua intraprendenza. È quanto sottolinea Marco Mazzotti, specialista di questo ambito e professore presso il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ). Ma come si "cattura", concretamente, la CO2? L'anidride carbonica, ci spiega, può essere captata da quegli stabilimenti industriali che, per via dei processi di combustione, la producono e quindi la emettono in grosse quantità. Si ricorre quindi a "impianti che rimuovono la CO2 da questi gas di scarico", effettuando sostanzialmente dei "lavaggi con soluzioni acquose di diverse sostanze chimiche". Queste soluzioni, che contengono la CO2 così catturata, vengono poi processate in un secondo impianto: l'anidride carbonica viene così rilasciata allo stato puro e quindi "compressa e liquefatta, per essere trasportata ad un sito di stoccaggio", mentre le soluzioni di lavaggio vengono riutilizzate.
Esiste però anche un procedimento volto a captare la CO2 direttamente dall'atmosfera. E si tratta di una tecnologia sviluppata proprio da un'impresa svizzera: la Climeworks, "che è una spin-off del Politecnico di Zurigo". Ma come funziona? Qui entra in gioco un dispositivo di filtraggio dell'aria dotato di "un materiale solido che è in grado di catturare" l'anidride carbonica. Questo filtro, che è riutilizzabile, va "rigenerato, per esempio riscaldandolo", col risultato di rilasciare la CO2. Un sistema, che presenta elementi di analogia con quello "dei filtri che usiamo per catturare gli odori nelle nostre cucine". È insomma "un principio molto simile", osserva l'esperto.
Rimozione del CO2 direttamente dall'atmosfera: il video esplicativo, in inglese, sulla tecnologia impiegata da Climeworks
Ma qual è l'incidenza dei costi, per queste tecnologie di recupero del CO2? Il primo procedimento, risponde Mazzotti, "viene utilizzato da decenni nell'industria chimica". L'elemento inedito risiede evidentemente nella scala di applicazione, avendo a che fare con un problema globale come quello delle emissioni di gas serra. "L'ordine di grandezza" dei costi per la cattura varia quindi "fra i 50 e i 100 franchi a tonnellata di CO2". Gli oneri diventano invece ben più consistenti per la captazione diretta dall'atmosfera: si passa infatti a 500-600 franchi a tonnellata. Ciò è segnatamente dovuto al fatto che "la CO2 è molto più diluita nell'aria" ed è quindi necessario "trattare molta aria, per recuperare relativamente poca CO2".
Iniezione nel sottosuolo: tre opzioni
Dopo la cattura, si tratta quindi di iniettare la CO2 nelle profondità della terra. Ma in quali strati geologici può essere riversata? Qui le possibilità sono essenzialmente tre, spiega lo specialista dell'ETHZ. La prima è data dai cosiddetti "acquiferi salini": formazioni "di cui c'è una grandissima abbondanza", che si trovano a più di 1'000 metri di profondità e che contengono acqua con una presenza così alta di sali da non poter essere sfruttata per usi civili. Queste strutture sono porose ma anche "chiuse da una sorta di tetto impermeabile". La CO2, una volta iniettata, viene quindi bloccata da questo strato sigillante e anche dalla porosità della roccia. Le goccioline di CO2 vengono "così intrappolate dai pori e poi, lentamente, si dissolvono e mineralizzano". È questa l'opzione che, per lo stoccaggio sotterraneo del CO2, viene "già utilizzata da più di 20 anni in Norvegia, in Canada e in Australia".
Una delle opzioni per lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo: il riversamento negli strati acquiferi salini, situati a grandi profondità
Un'altra possibilità è rappresentata dallo sfruttamento di "giacimenti di petrolio e di gas naturale dismessi", ossia esausti e quindi non più utilizzati. Queste strutture geologiche, proprio per il fatto "di aver preservato gas naturale per milioni di anni", presentano caratteristiche tali per cui possono "allo stesso modo e con gli stessi meccanismi geofisici, stoccare CO2 per sempre". La terza opzione, infine, è quella portata avanti in Islanda, dove la CO2, dissolta in acqua, viene iniettata all'interno di "strutture che sono molto meno profonde e che consistono in basalti di origine vulcanica". In queste rocce effusive, come è stato dimostrato, l'anidride carbonica mineralizza molto velocemente. Si riesce quindi già "in un paio d'anni a trasformare la CO2 in roccia".
Mineralizzazione della CO2: applicazioni anche per l'edilizia
Da rilevare che la mineralizzazione della CO2 può essere sfruttata anche per la produzione di materiali di costruzione. A ciò si dedica un'altra impresa in Svizzera, la Neustark, che in questo senso collabora "con gli impianti che riciclano il calcestruzzo" ottenuto dalle demolizioni di edifici. L'anidride carbonica viene infatti mineralizzata a contatto con la polvere di calcestruzzo. Avviene cioè una reazione chimica per cui "il materiale assorbe permanentemente" la CO2 "e viene rigenerato". Può così essere utilizzato "come materiale attivo per fare nuovo calcestruzzo". Con ciò, spiega l'esperto, si ottiene un doppio vantaggio: la CO2 "viene utilizzata per migliorare quel materiale" e, al tempo stesso, viene "sequestrata permanentemente" a tutto beneficio del clima.
Il sottosuolo della Svizzera, va precisato, non sembra fornire un potenziale interessante per lo stoccaggio del CO2. A nord delle Alpi, in particolare, non sono state finora individuate "strutture geologiche con caratteristiche così favorevoli come in Norvegia o in Australia", dove queste tecnologie sono già implementate da tempo.
Il progetto DemoUpCARMA: CO2 catturata in Svizzera e trasportata in Islanda per il successivo stoccaggio in basalti vulcanici
In altri Paesi si stanno però sviluppando iniziative per "mettere a disposizione volumi di stoccaggio" del CO2 "a emettitori nell'Europa continentale, e quindi potenzialmente anche svizzeri". Di conseguenza, sottolinea Mazzotti, "noi, e i partner industriali che sono interessati a questa tecnologia, stiamo lavorando per dare accesso alla CO2 svizzera" a questi siti di stoccaggio all'estero. Il progetto in questione è denominato DemoUpCARMA ed è incentrato sul trasporto di anidride carbonica "dall'impianto di biogas di Berna fino in Islanda", dove la CO2 viene quindi riversata nei basalti vulcanici.
Impatto ambientale: interrogativi e risposte
Su queste tecnologie, non mancano però obiezioni e interrogativi di natura ambientale. Che impatto ha lo stoccaggio del CO2 sul sottosuolo? "Se viene fatto in modo corretto, praticamente nessuno", afferma Mazzotti. Le profondità in questione sono infatti molto elevate e quindi ben lontane dalle falde acquifere, che si situano invece nei primi 100-150 metri. "Noi capiamo i processi che avvengono e possiamo monitorare dove la CO2 migra nel sottosuolo", assicura, precisando che in tutti i casi di iniezione essa "si è spostata secondo i modelli che ne avevano previsto il comportamento". D'altra parte, si impone necessariamente un raffronto. "L'impatto sull'ambiente ce l'abbiamo quando emettiamo CO2 nell'atmosfera". Ed esso, viste le conseguenze del riscaldamento globale, "è immediato, grosso e pericoloso". Immagazzinare CO2 nel sottosuolo è invece infinitamente meno rischioso che "emetterla nell'atmosfera: cosa che facciamo tutti i giorni in quantità irragionevoli", rammenta l'esperto.
Il rapporto Copernicus sul clima
RSI Info 20.04.2023, 13:25
Gli stoccaggi, inoltre, vanno ovviamente predisposti in aree "dove l'attività sismica è molto ridotta". Ma se anche qui avvenisse qualcosa, per la CO2 si avrebbe comunque a che fare "con migrazioni nel sottosuolo molto lente, molto graduali", che possono quindi "essere monitorate; mentre misure di contenimento, se necessarie, potrebbero essere prese". Va poi tenuto presente che pure in Islanda, che invece è notoriamente in un'area sismica, si prevede di immagazzinare grandi quantitativi di CO2. Qui però, come abbiamo visto, la mineralizzazione nei basalti "avviene velocemente" e si ritiene, quindi, "che anche in quel contesto il rischio" derivante da eventi sismici "sia molto contenuto".
L'apporto della Svizzera
Intanto dal punto di vista tecnologico "abbiamo delle start-up in Svizzera che sono all'avanguardia in questo settore". Aziende, ricorda Mazzotti, che hanno preso le mosse da tecnologie sviluppate a Zurigo (come Climeworks, Neustark, Synhelion), ma anche a Losanna. Per quanto poi concerne il Ticino, nel progetto DemoUpCARMA è coinvolta anche l'Università della Svizzera italiana (USI), attraverso il contributo di una sua docente, Ilaria Espa, che si occupa di climate policy e climate law. Nel cantone ha poi sede anche un'impresa, la Casale, fra le cui tecnologie figurano anche "impianti di cattura dai gas industriali" del CO2.
In evidenza, nelle ricerche per la gestione del CO2, il lavoro portato avanti da aziende spin-off del Politecnico di Zurigo
Più in generale "l'Ufficio federale dell'ambiente e quello dell'energia" hanno assunto da circa un anno "un ruolo molto proattivo" in questo ambito. In particolare è stato così costituito un gruppo di lavoro che coinvolge i cantoni, i privati e gli atenei. Questo gruppo sta ora cercando di permettere "che le iniziative svizzere siano coordinate e che "ci sia scambio di informazioni, ci sia un'accelerazione negli sviluppi", conclude l'esperto.
Tutto questo, nell'intento di fornire un solido contributo per una sfida precisa: quella di rispedire "al mittente" la CO2. Un obiettivo che, se verrà conseguito su vasta scala, potrebbe davvero imprimere uno slancio considerevole alla lotta contro i mutamenti climatici.
Alex Ricordi