La distinzione tra donne e uomini per quanto riguarda l'età di pensionamento è ormai superata, secondo l'esperto di assicurazioni sociali Giuliano Bonoli, che suggerisce misure di compensazione a vantaggio dei gruppi che soffrono maggiormente al momento della pensione, gruppi in cui "le donne sono sovrarappresentate" ma in cui si trovano anche uomini.
"Ci sono donne che hanno lavorato a tempo pieno o quasi per la maggior parte della loro vita attiva, che hanno un buon secondo pilastro e per le quali il vantaggio di andare in pensione un anno prima non è per nulla giustificato", afferma il professore all'Università di Losanna, in un'intervista diffusa dal Radiogiornale della RSI all'indomani della decisione del Consiglio nazionale di parificare i due sessi nel quadro della riforma AVS 21.
"Secondo me", afferma Bonoli, "una posizione difendibile sarebbe quella di accettare l'innalzamento a 65 anni per le donne e compensare con misure che vadano ad aiutare delle persone - uomini o donne, ma si tratta principalmente di donne - che subiscono un certo tipo di svantaggio all'avvicinarsi della pensione. Penso a chi ha lavorato a tempo parziale una gran parte della sua vita o a persone che hanno problemi di mercato del lavoro fra i 55 e i 65 anni".
Intervenire sul secondo pilastro "è difficile", ma un'alternativa potrebbe essere il potenziamento della rendita ponte, che già esiste. Un provvedimento che però avrebbe un costo: "L'idea sarebbe quella di utilizzare una parte delle economie realizzate con l'aumento a 65 anni per delle misure di compensazione. La questione è sapere come fare per proteggere in modo mirato coloro che sono più esposti ai rischi di un cattivo pensionamento".