In Ticino nel 2012 sono state una ventina le persone indagate per reati di pedopornografia su internet. Lo conferma il Commissario Enea Filippini, capo del Gruppo criminalità informatica, da noi interpellato in seguito alla diffusione da parte dell’Ufficio federale di polizia dei dati sull’aumento dei crimini online: in Svizzera quelli contro l’integrità sessuale sono stati 3'083.
Si tratta, in concreto, del possesso o dello scambio di materiale pedopornografico nelle chat o attraverso le reti peer-to-peer; un’attività che non si svolge su marte, bensì attraverso uno dei software più usati, anche dai giovani, per ottenere film e musica: “E-mule”, conferma Filippini. Guardate nel PC di vostro figlio e probabilmente lo troverete. Il problema è che scaricare per sbaglio dei contenuti pedopornografici, magari al posto dell’ultimo album di Justin Bieber, pone le basi per un’inchiesta penale.
Ticino, in futuro maggiore prevenzione e inchieste mascherate
Tutti i casi ticinesi di pedopornografia online sono stati segnalati dall’Ufficio federale di polizia (Servizio di coordinazione per la lotta contro la criminalità su internet, SCOCI). A livello cantonale, al momento, le forze dell’ordine non conducono delle ricerche attive per scovare possessori di materiale pedopornografico, poiché l’entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale (gennaio 2011) ha abolito la possibilità di svolgere delle inchieste mascherate, ad esempio nelle chat.
Solo i cantoni di Zurigo e Svitto hanno modificato la Legge sulla polizia per restituire la facoltà di indagare preventivamente agli inquirenti che combattono la pedopornografia online. Ma anche in Ticino qualcosa si muove. Il Parlamento, a inizio 2013, ha accolto all'unanimità un’iniziativa di Nadia Ghisolfi e Alex Pedrazzini (PPD) che va in questa direzione; lo stesso ex consigliere di Stato lo conferma: "I poliziotti potranno fingersi minorenni, entrare nelle chat e mettersi in contatto con potenziali pedofili prima che un reato sia commesso". A livello federale invece, dal primo maggio 2013 potranno sì essere svolte inchieste mascherate, ma solo in caso di un procedimento penale già in corso.
Guardare non è reato
Oltre alle reti peer-to-peer e alle chat, aumentano i siti internet con contenuti a rischio. Si tratta per lo più di pagine straniere, che lo SCOCI segnala all’autorità competente estera affinché reagisca. “Ma se in certe regioni, come nell’Europa occidentale o negli Stati Uniti, c’è ricettività - racconta Filippini - nell’Europa dell’est e in Asia queste notifiche finiscono spesso nel nulla”. Infine bisogna fare una precisazione: “il solo guardare questo tipo di contenuti non è un reato, poiché bisogna proteggere chi finisce per sbaglio su determinati siti internet”. Per sbaglio, sia chiaro.
Angelo Dandrea