Tanto severo, quanto però di difficile applicazione. È l’internamento a vita, il provvedimento più duro previsto dall’ordinamento penale svizzero. La sua introduzione venne sancita dal “sì” del popolo e dei cantoni all'iniziativa in materia, sottoposta a votazione popolare nel febbraio del 2004. Fu in seguito il Parlamento, in sede di attuazione, ad approvare una specifica disposizione del Codice penale: l’articolo 64.1 bis, vigente dall’agosto del 2008. Esso fa riferimento a responsabilità penali particolarmente gravi: dall’assassinio alla violenza carnale; dalla coazione sessuale, fino alla tratta di esseri umani e ai crimini contro l’umanità. Sono quindi previste tre precise condizioni:
particolarmente grave deve essere il pregiudizio arrecato all'integrità altrui
una recidiva del crimine deve risultare altamente probabile
l'autore del crimine deve essere qualificato come durevolmente refrattario a terapie: un trattamento, insomma, non offrirebbe prospettive di riuscita a lungo termine
Proprio a quest’ultima condizione sono da ricondurre i problemi d’applicazione dell’internamento a vita. Problemi di natura giuridica, sorti proprio in relazione a fatti di sangue che negli ultimi anni hanno avuto una fortissima risonanza. Come l’assassinio di Lucie, la 16enne friburghese uccisa nel 2009 - in una località del canton Argovia - da un 25enne già condannato nel 2004 per tentato omicidio.
I famigliari di Lucie, selvaggiamente assassinata nei pressi di Baden (AG), alla testa di una marcia a Friburgo nel 2009 in memoria della ragazza
All’uomo resosi responsabile di un’uccisione così brutale, il Tribunale cantonale argoviese inflisse l’internamento a vita nel 2012. Per il Ministero pubblico e per gli psichiatri incaricati delle perizie, i termini espressi dalla norma penale - ossia “
durevolmente refrattario” e “
a lungo termine” - non precisavano il periodo durante il quale il condannato doveva essere considerato come incurabile. La Corte quindi, seguendo le valutazioni degli specialisti, ritenne che un orizzonte temporale di circa 20 anni fosse sufficiente per qualificare come “durevole” la refrattarietà ad una terapia.
La madre di Lucie, durante il processo al Tribunale cantonale di Argovia che nell'ottobre del 2012 emise la condanna all'internamento a vita nei confronti dell'assassino della 16enne
Tale argomentazione venne tuttavia
respinta nel 2013 dal Tribunale federale (TF)
. La massima istanza giudiziaria - a cui il condannato si era rivolto attraverso un ricorso - annullò l’internamento a vita, dichiarando che tale pena può essere inflitta solo ai criminali che non possono effettivamente essere sottoposti ad
alcun trattamento nel corso della loro vita. Devono insomma emergere - stando al tenore della stessa norma penale votata dal Parlamento - una incurabilità cronica ed un rischio per la società illimitato nel tempo. La conclusione dei giudici di Mon Repos fu quindi categorica: nel caso dell’assassinio di Lucie - pur nell’evidenza della gravità dell’atto e dei rischi di recidiva - nessun accertamento psichiatrico aveva però potuto indicare che il condannato fosse effettivamente
incurabile vita natural durante.
I giudici di Mon Repos annullarono nel 2012 l'internamento a vita pronunciato nei confronti dell'assassino di Lucie
Il punto, tuttavia, è che la maggior parte degli stessi psichiatri forensi
non ritiene scientificamente valide previsioni relative a periodi estremamente lunghi. L’indicazione di un orizzonte di circa 20 anni, nel caso dell’assassino di Lucie, si spiegava proprio in base a tale riserva. Essa però risulta di fatto incompatibile con i
termini rigorosi precisati dal TF. E finisce così per esporre le condanne alla prospettiva, molto concreta, di una sconfessione da parte della massima istanza giudiziaria. È quanto del resto si è già verificato negli ultimi anni in casi analoghi. Nel 2014, ad esempio, venne annullato l’internamento a vita disposto, due anni prima,
nei confronti di un uomo che aveva ucciso con efferatezza una prostituta a Bienne. Una decisione che i giudici federali adottarono,
sulla scorta delle stesse considerazioni già formulate per l’assassino di Lucie.
A sinistra Lucie, assassinata nei pressi di Payerne nel maggio del 2013. A destra Adeline, la socioterapeuta ginevrina assassinata da un detenuto plurirecidivo nel settembre dello stesso anno
La tragica morte di
Marie e l'assassinio a Ginevra della socioterapeuta
Adeline -
uccisa, sempre nel 2013, da un detenuto pericoloso e plurirecidivo - hanno innescato nuove ondate di commozione, di sdegno e di gravi interrogativi nell'opinione pubblica. Intanto però anche la condanna all'internamento a vita
inflitta oggi all'assassino di Marie potrebbe, per le ragioni qui riassunte, finire annullata dal TF. E la difesa del condannato ha già preannunciato che farà ricorso.
Lucie nel 2009, Marie e Adeline quattro anni più tardi. Una dimostrazione nel 2014, di fronte alla sede del Tribunale federale a Losanna, per ricordare le vittime di questi omicidi efferati
È infatti sempre lo stesso impianto della disposizione penale a rendere, di fatto, difficilmente applicabile una sentenza di internamento a vita. Anche nel caso dei delitti più efferati e con buona pace di quella maggioranza della popolazione che - votando nel 2004 a favore dell’iniziativa popolare - aveva inteso approvare questa pena per inasprire la repressione nei confronti dei criminali sessuomani o violenti.
Alex Ricordi
RG 12.30 del 24.03.16 - Gli aggiornamenti del corrispondente Gabriele Fontana, nell'imminenza della sentenza
RSI Info 24.03.2016, 13:25
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RG 18.30 del 24.03.16 - Il servizio di Roberto Porta
RSI Info 24.03.2016, 19:02
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RG-18.30 del 24.03.16 - La reazione di Christine Bussat, fondatrice dell'associazione Marche Blanche, al microfono di Roberto Porta
RSI Info 24.03.2016, 19:03
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