Svizzera

Quando l’IA fa rima con contraffazione

Gli strumenti dell’intelligenza artificiale possono prestarsi alla falsificazione di prodotti: il punto su un fenomeno che appare in espansione

  • 7 settembre, 05:56
  • 7 settembre, 10:05
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Sul tema l'associazione Stop Piracy ha organizzato un convegno a Neuchâtel

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Di: SEIDISERA/Nicola Lüönd 

Fra le insidie legate all’intelligenza artificiale (IA), vi è anche il possibile uso di questa risorsa per finalità connesse alla contraffazione di prodotti. Può infatti rivelarsi come uno strumento con cui raggiungere i consumatori, proponendo e promuovendo beni contraffatti. Il fenomeno non è forse molto conosciuto dal grande pubblico, ma sta prendendo piede. Tanto che proprio ieri, venerdì, l’associazione Stop Piracy, attiva nella lotta alla contraffazione, ha organizzato a Neuchâtel un convegno sul tema.

Ma come si esplicita, concretamente, questa insidia? L’IA può rivelarsi di grande aiuto “nel vendere della merce contraffatta, nel pubblicizzarla, diffonderla”, afferma Luca Brunoni, che fa parte dell’Istituto di lotta contro la criminalità economica di Neuchâtel, indicando in questo senso varie possibilità. Ad esempio la “creazione facile, direi quasi immediata, di siti Internet che hanno un aspetto professionale di immagini pubblicitarie”. Ma gli strumenti dell’IA possono prestarsi anche al “marketing sui social network”, che rappresentano “una parte molto importante per la contraffazione e la vendita”, soprattutto quella online.

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Intelligenza artificiale e contraffazione

SEIDISERA 06.09.2024, 18:39

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C’è inoltre un livello che, per chi non è addetto ai lavori, può apparire anche un po’ inquietante. E si tratta di un algoritmo generato dall’IA, che ha compiti molto specifici. In questo senso c’è una diatriba che vede protagonista la cinese Shein: un’azienda che rappresenta una potenza nella cosiddetta fast fashion, la moda “iperveloce”, sia nella produzione che nel consumo. Ebbene su questa impresa grava l’accusa di detenere “un algoritmo che va alla ricerca di tendenze a livello di design, in particolare di vestiti, e copia tutto all’ingrosso”, spiega l’esperto. In produzione vengono quindi mandati dei capi che “a volte sono semplicemente frutto di un copiare la tendenza”. Altre volte, però, a emergere è “un design che è uguale o identico addirittura, come in alcuni casi, a quello originale”, che poi però viene venduto su Shein.

Derive, insomma, che devono indurre a più riflessioni. Ma con tutto ciò non va dimenticato che la stessa IA, se rettamente sfruttata, può contribuire a smascherare le stesse falsificazioni. Attraverso questa risorsa, infatti, si possono anche potenziare le allerte a beneficio dei consumatori che stanno per acquistare un prodotto contraffatto. C’è poi il lavoro dei “cacciatori” di falsificazioni, che spesso fanno parte dei maggiori gruppi della moda: aziende che ricorrono sempre più spesso all’IA, ad esempio per il riconoscimento delle immagini. L’IA può quindi essere utile per identificare certi dati, certi modelli che appaiono con frequenza sui siti e sui social gestiti dai contraffattori. Anche questo ambito, in buona sostanza, attesta che le risorse tecnologiche più avanzate conoscono applicazioni ambivalenti. Tutto sta nell’uso che se ne fa.

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