Fari puntati su una malattia, la peste suina africana, che si avvicina sempre di più alla Svizzera e al Ticino. Da tempo, infatti, è presente in Liguria e in Piemonte. È arrivata nell’area di Pavia. Il suo sbarco in Ticino, spiegano gli esperti, è quindi solo questione di tempo. “Voi siete a 60/70 km. È un dato di fatto che, se in Italia non riusciamo a fermarlo, prima o poi il virus vi arriva.”, spiega ai microfoni della RSI Vittorio Guberti, ricercatore all’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca Ambientale di Bologna. È uno dei massimi esperti di peste suina africana in Europa. “La situazione in Italia è una situazione abbastanza problematica. La diffusione del virus continua”, sottolinea.
Il virus, che colpisce cinghiali e maiali (e che non è trasmissibile all’uomo), in Svizzera arriverà, anche se ha una diffusione piuttosto lenta. “Il virus si trasmette lentamente, soprattutto perché i cinghiali muoiono in fretta, senza sintomi clinici”, spiega Guberti. Spesso muoiono nel giro di 48 ore. “Sono i cinghiali che sopravvivono un po’, che trasmettono la malattia agli altri. E i cinghiali che sopravvivono un po’ sono una minoranza. Moriranno, però, in quella settimana/dieci giorni che stanno molto male, trasmettono il virus”, dice Guberti.
E quando c’è la prova, come in quasi tutta Europa, che il virus in una determinata zona è arrivato, ecco che scattano le contromisure. Contromisure che hanno un impatto importante anche sul territorio e sull’uomo.
Il veterinario cantonale Luca Bacciarini spiega che “nel 2022 il Consiglio di Stato ha istituito un gruppo di lavoro e ha prodotto una prima versione del manuale operativo, proprio per tradurre e trasformare le direttive a livello federale alla nostra realtà, per fare in modo che, quando la malattia arriverà, tutti sappiano come si devono comportare. Può arrivare in qualsiasi momento. È chiaro che è una malattia difficile da combattere e impatterà anche sulle attività umane”, dice Bacciarini. Non solo sugli allevamenti di maiali, visto che il settore in Ticino è relativamente piccolo. “Se il virus arriva poi nei cinghiali non potremo più andare nel bosco, non si potrà più cacciare eccetera, eccetera. Ci saranno una serie di regole e si avrà anche un impatto economico. Possiamo anche trasmettere il virus (e lo facciamo più noi come esseri umani) per esempio attraverso il materiale contaminato dal virus, con derrate alimentari di origine suina oppure anche solo attraverso la plastica o la carta che conteneva la carne. Può capitare che entriamo nel bosco e calpestiamo il luogo dove è morto un cinghiale (un luogo quindi pieno di virus), e poi portiamo in giro il virus sotto le scarpe.... può finire anche sui vestiti... se andiamo a caccia il virus ce lo portiamo sui mezzi di trasporto, sui veicoli, se andiamo in giro con il cane... il virus può finire anche sul pelo del cane”, dice Bacciarini.
Spiega Guberti che la peste suina “ha un’altra brutta caratteristica: condiziona la vita anche del cittadino normale. Io cittadino che sono abituato ad andare a funghi nel bosco, a fare la mia passeggiata col cane... se c’è il bosco infetto, praticamente in maniera inevitabile, per un certo periodo di tempo, mi verrà vietato l’accesso al bosco. È una malattia che non riguarda solo i servizi veterinari, il cinghiale e il maiale. Riguarda anche tutta la popolazione che vive nell’area infetta. La peste crea un grande problema a livello sociale”.
Un tema che chiaramente preoccupa anche allevatori e agricoltori ticinesi. “Sicuramente siamo preoccupati, però è già da un paio d’anni che si discute. Stiamo cercando di essere pronti a mettere in pratica quanto possibile. Ci sono aziende di allevamento suino... ma siamo preoccupati anche per le aziende sugli alpeggi, che hanno magari solo un numero limitato di maiali, ma che sicuramente avranno problemi. Speriamo di riuscire a contenere la peste suina nel miglior modo possibile”, dice Sem Genini, segretario dell’Unione Contadini Ticinesi che, tra l’altro, fa parte della “task force” creata dal Cantone 2 anni fa.
Intere zone potrebbero venire completamente chiuse all’accesso. Questo vuol dire perdere anche, per esempio, un controllo sui boschi per il tempo in cui verranno chiusi. “Certo, ci saranno grossi scompensi, un po’ a livello generale, immagino anche solo per le aziende che dovessero essere colpite.... Tutte le misure che bisogna fare per le autovetture, il personale che entra, che esce... è chiaro che è tutto lavoro in più, che si dovrà prendere a carico qualcuno. Sicuramente gli allevatori dovranno farlo. E speriamo che ci sia una giusta retribuzione, anche per tutta la perdita di guadagno. Immagino anche che non si possa entrare nei boschi, ma anche nei campi coltivati. Qui ci sarà un divieto di coltivarli e qua ci vuole, (ed è quello che stiamo cercando di ottenere), un compenso per tutto quello che viene perso per l’agricoltore. Ancora una volta, con una problematica del genere, verrà sicuramente penalizzato”, conclude Genini.
Intanto il veterinario cantonale Luca Bacciarini e l’esperto Vittorio Guberti sono stati presenti lunedì sera alle 20.00 all’Istituto cantonale di commercio di Bellinzona, per spiegare come affrontare l’arrivo della peste suina africana.
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