Succede tutto all’improvviso. Molto rapidamente. Tra le 19.25 e le 20.25 di un mercoledì. È il 4 marzo del 1992. A Cimo, un uomo esce di casa imbracciando un kalashnikov .
Ha 37 anni, si chiama Erminio Criscione. Origine siciliana, da lungo tempo in Ticino. Agente di commercio, alle spalle una vita solitaria. Casa, lavoro, pochi amici. Ma soprattutto fino a quel momento nessuno screzio rilevante con persone di sua conoscenza.
Fatto sta che quel mercoledì entra nella sua Subaru blu, accende il motore e parte. In testa, un progetto folle: una lista di persone da uccidere. C’è la rabbia e un desiderio di vendetta, figlio di una frustrazione senza più argine. Nella lista ci sono anche personaggi di spicco della politica ticinese.
Sembrano cose che non potrebbero mai rientrare nei margini della nostra quotidianità, ma già poco dopo le sette di sera l’uomo bussa alle porte di una prima abitazione a Origlio. La porta si apre, lui spara. Tre colpi alle gambe. Non appena la persona cade a terra, ferita, Criscione scappa.
Per la prima volta nella Svizzera italiana un killer si aggira per le strade e spara contro vittime innocenti
Altra tappa e il tour aumenta l’orrore. Siamo a Rivera, frazione di Soresina. In una villetta bianca a due piani, all’ora di cena, una famiglia sta festeggiando un compleanno. Prima il suono del campanello, poi i colpi di fucile. Tre persone muoiono, quattro rimangono ferite. Una scena simile si ripete poco dopo nel nucleo di Rivera. Anche lì, stessa dinamica, stesso triste esito. Muoiono due genitori e il loro figlio, che ferito gravemente non riesce a sopravvivere.
Di colpo, Lugano e tutta l’area circostante diventano il terreno di una caccia al killer. Un killer che imperterrito continua nel suo progetto criminale a Massagno (un’altra donna ferita) fino alla decisione di consegnarsi al posto di polizia di Camorino.
Si scopre allora di presunti guai finanziari, ma soprattutto emerge una certezza: Criscione non ha sparato nel mucchio, ha scelto i suoi obiettivi, tutte persone con cui aveva avuto rapporti di lavoro. Nel suo mirino c’era anche il parlamentare Adriano Cavadini che si è salvato perché era in vacanza con moglie e figli. Per ben due volte, nelle sue scorribande, Criscione, ha bussato alla sua porta senza trovarlo.
Alla fine, saranno sei le vittime, ma le motivazioni complete che stanno alla radice di quest’azione folle non arrivano al fondo della verità. Pochi giorni dopo l’arresto l’assassino viene trovato impiccato nella sua cella. L’autopsia rivelerà che il killer era stato duramente percosso, ma da quel 9 aprile del 1992, l’ora del suo decesso, molte cose cambieranno nella percezione di una regione fino ad allora tranquilla e non abituata a questo tipo di disgrazie.
Dopo lo sconforto e le polemiche su quel suicidio in carcere, la “strage di Rivera” innesca una discussione che porta a effetti concreti nel commercio e nella vendita di armi sia nel Canton Ticino che in Svizzera. Da lì in poi le restrizioni in quel campo saranno molto più severe, anche se poi altri eventi di questo tipo macchieranno la cronaca svizzera (la strage di Zugo del 27 settembre 2001, su tutti) e riproporranno gli stessi interrogativi. Da una parte la costernazione e il lutto, dall’altra la volontà di fare in modo che situazioni del genere non si ripetano.
Sforzi umani che tuttavia non arrivano mai a cancellare misteri come quello del caso Criscione, che si è alimentato della più sinistra delle coincidenze. Anagrammando il nome di Erminio Criscione, infatti si compone la seguente frase: “reo con sei crimini”.