La procura ha chiarito gli aspetti tecnici legati all’incidente che il 10 maggio scorso, appena superata la galleria del Monte Ceneri, costò la vita a un conducente germanico. La sua Tesla urtò la segnaletica e il guardrail centrale. Poi si capovolse, finendo per incendiarsi.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore pubblico Antonio Perugini, non ha potuto stabilire se la vittima morì a causa dell’urto o delle fiamme. Ma una cosa è certa: il guardrail colpì le batterie dell’auto, che andando in corto circuito provocarono l’incendio. Un tipo di rogo dallo sviluppo estremamente rapido, e molto complicato da spegnere (cosa possibile soltanto con l’utilizzo di speciali prodotti chimici). La perizia giudiziaria, allestita dal professor Jean-Claude Martin, sottolinea proprio la difficoltà di gestire questi roghi.
Ora toccherà ai famigliari della vittima, rappresentati dall’avvocato Paolo Bernasconi, decidere se chiedere alla procura nuovi accertamenti. Nei giorni scorsi è giunta intanto anche una seconda perizia, disposta per far luce sulla dinamica dell’incidente. La vettura – ha calcolato l’ingegner Massimo Dalessi – viaggiava a una velocità di poco superiore al limite, di 80 chilometri orari. Lo stato della Tesla (completamente distrutta) ha impedito di capire se la guida automatica fosse o no in funzione.
C’è infine il discorso che riguarda la maniglia della portiera. Le Tesla hanno il modello a scomparsa. Circostanza che impedì a un altro automobilista (poi messo in fuga dal fuoco) di estrarre l’uomo dall’abitacolo. Forse era già morto; forse lo si sarebbe potuto salvare.
La perizia sull'incidente
Il Quotidiano 19.11.2018, 20:00