L'architetto ticinese Mario Botta spegne oggi, sabato, 80 candeline. Le sue opere architettoniche, innumerevoli ed inconfondibili, sono sparse in tutto il mondo, dalla Scala di Milano al MoMA di San Francisco passando per il Samsung Museum of Art di Seul. Ma anche a questa età rimane instancabile e continua a lavorare a nuovi progetti.
Lei ha dichiarato: "A 15 anni capii che l’architettura è un’attività magica, perché una linea diventa un muro". Vale ancora?
"Si, è la magia di questo lavoro. Noi tracciamo delle linee che esprimono un’altra cosa. Una linea non è solo un tratto di grafite: nella realtà diventa un muro. Un limite. Una divisione tra interno ed esterno. La magia di cui parlavo resta una costante del nostro lavoro ed è la ragione per la quale noi continuiamo a fare progetti: la carta si trasforma in muratura".
E allora è corretto dire che è proprio da quella magia che è nata una carriera, con grandi successi e riconoscimenti internazionali, la cosiddetta scuola ticinese di architettura ed infine pure l’Accademia di architettura di Mendrisio?
"Successo è un termine che non mi piace. Lascerei perdere questa parola, perché il successo è per la società dei consumi. Mentre l’architettura è un servizio all’uomo, una condizione primaria degli esseri umani. Ma a parte questa premessa... sì, io ho lavorato sempre con furore. E oggi mi ritrovo ad avere un patrominio, il risultato di tanti anni lavoro, che viene anche riconosciuto. Questa è una delle parti piacevoli di questo lavoro. Ma vi è anche l'altra parte: la critica. E anche io devo farci i conti. Le Corbusier diceva che per fare questo lavoro bisogna essere pronti a ricevere tante pedate. E se lo diceva lui, che era un mostro di bravura e che aveva interpretato al meglio la storia del suo tempo, devo riconoscerlo pure io. Purtroppo siamo soggetti alla valutazione del mondo, che non può essere unicamente positiva".
Di pedate ne ha prese anche lei?
"Parecchie".
Ce ne può raccontare una? Qualcosa che le ha fatto male?
"L’incomprensione di quel ruolo metaforico che l’architettura deve sempre dare. Perché ci viene chiesto un riparo, anzitutto dagli agenti atmosferici. Ma poi, la casa, la scuola ed il museo, hanno anche un lato metaforico e simbolico. La società ne ha bisogno, ma spesso questo valore non viene riconosciuto. Si valuta l’architettura solo da un punto di vista tecnico. Io invece credo che la storia dell’umanità sia fatta soprattutto da questi segni. Noi ci muoviamo nella città e riconosciamo una chiesa piuttosto che un museo o delle case. E credo che questo è il vero valore dell’habitat collettivo".
Louis Kahn è stato uno dei suoi maestri. Di lui ha dichiarato: "E’ stato uno dei primi a capire i grandi limiti dello sviluppo tecnologico e di quella che poi sarebbe diventata la società dei consumi e della globalizzazione". Lei è riuscito a trovare un equilibrio, rispetto a questi limiti?
"Lo spero. Comunque credo che Kahn da questo punto di vista sia veramente un maestro. Perché operava in America nel bel mezzo della società dei consumi e ha avuto la forza ideologica di comprenderne i limiti. È stato il primo a teorizzare che l’architettura lavora sul territorio della memoria. Kahn diceva: "Guardate il territorio, guardate la memoria, come un amico". Quindi il territorio e la memoria di Kahn parlano di una complicità e di un’amicizia tra l’uomo e le forme costruite".
La Scala di Milano
Dalla memoria ai simboli in passo è breve. E penso in particolare ai due restauri che ha realizzato alla Scala di Milano, dove il passato incontra la più completa modernità… "Sì. Ed è la vera scommessa per la quale ho accettato volentieri questo impegno, poiché il teatro deve continuare a vivere nella cultura del nostro tempo. Guardare le forme del teatro oggi è diverso rispetto a come lo guardavano ai tempi della costruzione del Piermarini, nel ‘700. Allora l’illusione scenica era data da scenografie dipinte, bidimensionali.. si dipingevano i giardini, le case, gli interni… oggi invece l’illusione scenica è molto più potente, perché avviene attraverso luci ed elementi plastici tridimensionali. Il teatro ha dovuto aggiornarsi e costruire la torre scenica, proprio per levare dal palcoscenico le scenografie. Questo cambiamento è determinato anche dalle tecniche sceniche. E quindi dalla cultura del tempo".
Da diversi anni lei sta lavorando al campus universitario di Shenyang in Cina. Com’è costruire con i cinesi?
"È molto diverso rispetto all’Europa. C’è una cultura più povera e più pragmatica… Loro volevano un segno della cultura occidentale. Io do loro quello che ritengo sia idoneo per una cultura universitaria. Un campus organizzato in maniera occidentale: con i dormitori per gli studenti, gli spazi teatrali, gli spazi del museo, gli spazi dei laboratori didattici. A loro interessava questo modo di fare. Naturalmente è costruito con la cultura edilizia propria della Cina. Quindi le costruzioni non sono fatte con la cura e la tecnica che possiamo immaginare in Svizzera, dove abbiamo un modo di costruire che è il migliore del mondo, ma che ha anche un prezzo molto alto. In Cina si accontentano di approssimazioni e anche di materiali più poveri. È un insegnamento di umiltà che forse, di fronte alla ricchezza della società dei consumi, fa bene anche a me".
La crisi climatica sta cambiando il mondo, come cambierà l’architettura?
"Cercare di risolvere il problema climatico e quello energetico diventerà un dovere, perché è una questione di sopravvivenza per l’uomo. Io non so chi risolverà questo problema. Ma forse, e questa è una mia intuizione, il problema energetico lo risolveranno i Paesi più poveri. Quelli che ne avranno per primi la necessità, per una questione di sopravvivenza. Ho fatto incontri molto interessanti sul problema energetico. Mi ha meravigliato il fatto che molti scienziati dicono che noi cerchiamo di affrontare questi problemi, ma li affrontiamo in modo opulento. Come se avessimo tutti al mondo una cultura della tecnologia avanzata. Ma non è così. Probabilmente una possibile soluzione arriverà dai più poveri, che daranno indicazioni per tutti".
La casa rotonda di Stabio
Torniamo in Ticino. La casa rotonda di Stabio, uno dei suoi progetti più fotografati, è in vendita online a 1,9 milioni di franchi. Che effetto le fa?
"Mi sorprende molto. Posso dirle che non è costata 1,9 milioni".
E per finire, come festeggia?
"No, non si festeggiano gli 80 anni. Cercherò di coltivare gli affetti famigliari".
Gli 80 anni di Mario Botta
Il Quotidiano 30.03.2023, 19:00