La tassa di collegamento non lede la libertà economica e la garanzia della proprietà privata in ambito economico. Inoltre non viola la parità di trattamento. Queste in estrema sintesi le motivazioni che hanno spinto il Tribunale federale a respingere tutti i ricorsi che la contestavano. Sono contenute in un'attesa sentenza datata 25 marzo che è stata resa pubblica venerdì.
Per la Corte queste tasse sono ammissibili dal profilo della libertà economica solo se non sono proibitive – si legge nella sentenza – e va considerata proibitiva un’imposta il cui importo impedisce di realizzare un beneficio giusto. Per i giudici di Mon Repos i ricorrenti “non sono stati in grado di dimostrare che la tassa di collegamento è proibitiva e impedisce loro di realizzare un beneficio conveniente”.
Sul fronte della garanzia della proprietà privata, quindi della protezione del cittadino dalla percezione di tributi pubblici confiscatori la Corte scrive invece che non vi sono “elementi o dati atti provare che l’imposta querelata li priverebbe di una parte esorbitante della loro sostanza o di singoli componenti della stessa”.
Sul fronte, infine, della parità di trattamento, quindi del fatto che si prelevi solo su fondi con più di 50 posti, la corte rileva che un'eventuale violazione sarà dimostrabile solo se la sua efficacia non dovesse emergere. Solo in quel caso si potrà parlare di "un aggravio finanziario lesivo del principio della parità di trattamento".
La tassa può quindi entrare in vigore e a questo proposito ricordiamo che il Consigliere di Stato Zali aveva dichiarato alla RSI: "Penso di poter dire, sia per motivi tecnici sia di opportunità, che si parlerà della sua introduzione non prima del 2022".
19 motivazioni per la tassa di collegamento
Il Quotidiano 24.07.2020, 21:30