La calzamaglia che scende sulla faccia, la pistola sollevata in aria, il salto del bancone e poi quella frase lì, “questa è una rapina” che a metà degli anni Settanta nella Svizzera italiana diventa sempre più ricorrente.
E da quel momento in poi scene che sembrano esistere solo nei film iniziano a far parte della realtà quotidiana. A finire nel mirino, prima le filiali delle banche più vicine al confine, poi gli uffici postali, passando per i cambi e i benzinai. Un crescendo di assalti che settimana dopo settimana comincia ad allarmare un’intera regione, per la prima volta confrontata con bande armate di criminali sempre più sfrontati nell’esecuzione dei colpi. E più i “colpi” diventano tristi abitudini più le minacce si fanno violente, tanto che lo sbocco diventa inevitabile.
Quando si usano le armi per fare una rapina poi è inevitabile che arrivino i primi morti
È il 5 agosto del 1977. L’obiettivo, la banca Popolare di Stabio. Alle 13.30 quattro banditi entrano in azione, prendono in ostaggio i dipendenti e si fanno aprire la cassa. Poche parole, tanta concitazione e un silenzio che all’improvviso viene rotto da uno sparo. È un proiettile che inavvertitamente parte dalla lupara di un malvivente e che colpisce in faccia il giovane direttore della banca. Il corpo che cade a terra subito dopo è quello del primo morto causato da una rapina nella Svizzera italiana. E non sarà nemmeno l’unico, perché ormai l’escalation non sembra potersi arrestare. Soprattutto se gli assassini, come nel caso di Stabio, riescono a farla franca. Il copione, il solito. La fuga col bottino infatti dura poco più di un minuto. Il tempo necessario per arrivare alle reti della frontiera e ai buchi che permettono il passaggio clandestino, là dove ad attenderli c’è un’altra macchina, poi le tracce sono già disperse.
Scene di confine destinate a ripetersi proprio perché quelli sono gli anni in cui il Ticino diventa un’enorme calamita per soldi che arrivano da tutte le parti e in tutti i modi. Capitali trafugati in nero per evadere il fisco italiano, affari nei cambi di valuta o nei commerci di benzina: quello che non manca mai è il contante e il numero delle filiali delle banche si moltiplica esponenzialmente. Non c’è paesino che non ne abbia una.
Casse piene per misure di sicurezza che non sono ancora al passo con i tempi. E per la criminalità di medio cabotaggio che vive in Italia, a non molti chilometri dal confine, soprattutto tra Brescia e Bergamo, si tratta di una vera e propria manna. Le rotte e le vie di fuga sono quelle del vecchio contrabbando, ma ora questo business a mano armata è più redditizio. Un fenomeno spiazzante anche e soprattutto per le forze dell’ordine ticinesi, non abituate a fronteggiare emergenze di questo tipo.
Per questo, subito dopo la morte di Stabio, lo sdegno della popolazione si trasforma in una raccolta di firme per sollecitare una maggior presenza della polizia sul territorio. Così, mentre il 1977 si avvia a diventare un vero e proprio annus horribilis per il numero record di rapine messe a segno, le contromosse prevedono nuove iniziative difensive. Da una parte, si cerca di limitare il contante nelle casse, dall’altra si fa ricorso a guardie private per piantonare le entrate nelle banche. Misure che tuttavia si rivelano ancora troppo timide e insufficienti rispetto alla dimensione sempre più feroce che ormai hanno assunto queste attività criminali. E se il Ticino diventa un far west non può mancare persino un assalto alla diligenza. Il primo febbraio del 1982 avviene uno dei colpi più spettacolari mai realizzati sul territorio.
Rapina al treno
RSI Info 02.02.1982, 15:54
Succede all’altezza di Vezia dove il treno in transito da Chiasso a Zurigo viene assalito. È un’azione coordinata. Sugli scompartimenti c’è chi tira il freno d’emergenza, fuori, un altro gruppo, si incarica di salire e bloccare macchinista e conduttore. Poi, gli spari per far saltare la porta blindata del vagone postale, il “buralista” tenuto in ostaggio giusto il tempo di rubare una decina di sacchi di denaro e lingotti, caricare il malloppo su un’auto posteggiata nei dintorni e dileguarsi. Soltanto il ritrovamento casuale del cadavere di uno dei rapinatori lungo il Tresa una settimana dopo permetterà di stimare l’entità del bottino. Accanto al suo corpo ci sono valute e lingotti per un valore di 800.000 franchi da cui si deduce che l’ammontare totale poteva raggiungere i 7 milioni di franchi o forse più, una cifra mai pubblicizzata perché il treno trasportava oro in modo illegale.
La prima pagina del giornale
Un crimine nel crimine che ben testimonia il clima di una stagione dove gli appetiti delinquenziali indotti dalle rapine lasciano sul campo tanto sangue. Sempre nel 1982 muoiono gerenti di distributori di benzina e di chioschi proprio accanto a quella dogana che ormai più che un deterrente sembra diventare una scorciatoia per scappare. Per correre ai ripari occorre aumentare misure di sicurezza che inizino a prevedere la presenza obbligatoria di vetri antiproiettile negli istituti bancari e postali così come in tutti gli uffici cambi. E paradossalmente il fatto che tutti questi dispositivi risultano efficaci lo testimonia proprio il suo controeffetto, il “salto di qualità” nei reati a cui sono obbligati i rapinatori più spudorati che non intendono abbandonare il campo. Adesso infatti per violare banche sempre più fortificate si arriva a compiere una pratica che qui non si era mai vista: il sequestro di persona.
Il primo avviene proprio nel 1983. Tenuto segregato in casa con la moglie per tutta una notte, il direttore della Corner Bank di Massagno è costretto la mattina successiva ad aprire le porte blindate della banca. E la tecnica si ripete nel 1987 alla Banca di Credito e Commercio di Lugano, nel 1988 alla Banca centrale cooperativa di Paradiso e nel 1990 all’UBS di Chiasso.
Sono i colpi di coda di un fenomeno che proprio mentre raggiunge il massimo del suo azzardo inizia a conoscere il suo declino. Del resto, di fronte a misure di sicurezza in continuo aggiornamento, più i colpi diventano pericolosi e imprudenti, più le condanne si fanno pesanti. A maggior ragione, se proprio in quel periodo la malavita di frontiera capisce che può fare soldi facili rischiando di meno. Con la scoperta del traffico della droga l’epoca delle rapine conosce una pesante battuta d’arresto, lasciando però un altrettanto pesante eredità che è arrivata fino ad oggi: ben cinque omicidi sono rimasti irrisolti. Cinque vittime senza giustizia.