Ha i contorni di un film la truffa che presto porterà in aula un avvocato di Paradiso, appena rinviato a giudizio. Il 48enne italiano avrebbe preso parte a un raggiro da qualcosa come 20 milioni. Per l’esattezza: 19,9 milioni di dollari e mezzo milione di franchi, letteralmente svaniti nel nulla.
A farne le spese alcuni clienti, americani e canadesi, che un altro italiano aveva provveduto ad adescare. L’uomo (tuttora latitante) si presentava come dottor Rossi, frequentava i migliori alberghi e, a volte, girava in compagnia di un amico che spacciava addirittura per il nipote di Mario Draghi, il presidente del Consiglio.
Prometteva l’incasso di ingenti eredità. A condizione che però i facoltosi stranieri coprissero le spese generate dalla procedura. Compreso l’acquisto a prezzi esorbitanti (3-400’000 franchi) delle società con sede in Ticino che il legale luganese cedeva, ricevendo in cambio un lauto mandato per amministrarle.
Come detto, tra il 2015 e il 2020 è sparita all’estero una ventina di milioni. Di qui l’accusa di truffa per mestiere, ipotizzata anche per una serie di crediti Covid. In totale si parla di 200’000 franchi, che l’avvocato avrebbe ottenuto illecitamente nella primavera del 2020.
Il 48enne respinge ogni addebito. A cominciare da quelli legati alla bufala dell’eredità, di cui lui stesso – sostiene – si sarebbe reso conto solo più tardi, nel 2017. “Inizialmente – ha dichiarato – pensavo che le società da me amministrate servissero per il deposito di fondi in nero.”
Il processo, della durata prevista di un paio di giorni, si aprirà il 2 giugno prossimo. A presiedere la Corte delle Assise Criminali sarà il giudice Amos Pagnamenta. L’imputato, in carcere dal mese di ottobre, rischia grosso. Contro di lui la procuratrice pubblica Chiara Borelli intende chiedere infatti una pena superiore ai cinque anni.
Da notare che era già stato arrestato in Italia nel 2014, perché sospettato di appartenere a un’organizzazione transnazionale dedita al riciclaggio e alla frode fiscale. Reati commessi attraverso fatturazioni fittizie, che dalla Piana di Gioia Tauro, in Calabria, portavano a Paesi come l’Estonia, l’Olanda e la Svizzera appunto. Il procedimento penale aperto oltre confine è tuttora pendente.