Antonio Belnome, un nome che chi si occupa di cronaca giudiziaria e di ‘Ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese, conosce bene. Calabrese anch’egli, 48enne, ex calciatore semiprofessionista, vittima di un incidente stradale che ne chiude la carriera sportiva, Belnome si trasferisce in Lombardia dove rapidamente, brucia le tappe: da picciotto sino a diventare il Padrino di Giussano, città in cui è nato, alle porte di Milano. Viene arrestato il 13 luglio 2010 insieme ad altre 300 persone nell’operazione Crimine Infinito. 3 mesi dopo, pentito, inizia a collaborare con gli inquirenti e redige un lungo memoriale rivolto - sostiene - soprattutto ai giovani, tentati dalla malavita. Si dichiara compevole di una serie di omicidi, per i quali viene condannato a 11 anni e 6 mesi di carcere. “In quel mondo” scrive “l’ambizione è una droga, non si ragiona più, se non nell’ambito criminale. Una volta raggiunto l’apice, è finita: non puoi più fidarti di nessuno, devi guardarti alle spalle, spostarti da un luogo all’altro, fuggire dai nemici. E alla fine ti ritrovi solo, senza famiglia e senza amici. La ’Ndrangheta è una droga che ti corrode da dentro. È questo quello che i tanti giovani che vorrebbero affiliarsi devono capire”.
Di Antonio Belnome lo scrittore Camillo Costa sta ora scrivendo la biografia. Una testimonianza unica, la sua, che permette di entrare nelle viscere di un’organizzazione criminale sempre più mimetica, potente e radicata anche in Brianza, non lontano dal confine con la Svizzera. Nel documentario "Il mafioso e lo scrittore" di Marco Tagliabue interverranno, con la loro testimonianza, Paolo Bernasconi, avvocato e già procuratore pubblico; il giornalista Aldo Sofia; la responsabile della direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci; un testimone di giustizia come l’imprenditore calabrese Gaetano Saffioti, che nel 2002 denunciò le ‘ndrine che gli avevano rovinato la vita: da allora vive blindato, sotto scorta.