Negozi di parrucchieri, centri estetici, sartorie, bar e ristoranti: da anni i cittadini cinesi hanno colonizzato Lavena Ponte Tresa. Attratti da servizi rapidi a prezzi concorrenziali, il flusso nella cittadina italiana di confine è continuo: ad alimentarlo, sono in particolare i clienti che vengono dal Ticino per usufruire dei servizi gestiti dalla comunità orientale: una spina nel fianco per le attività ticinesi del settore che, solo nel luganese, si contano a centinaia. Ma come la mettiamo con la qualità delle prestazioni made in China? Patti chiari ha inviato due clienti al di qua e al di là del confine per capire differenze tra prezzi e servizi per la cura della persona. Delle esperte hanno poi valutato l’esito delle prestazioni cinesi e... ticinesi. Le sorprese non sono mancate: le differenze tra centri nails sono di… un’unghia e quelle tra parrucchieri di un... capello. Non altrettanto per i servizi di sartoria.
Tra velocità d’esecuzione, orari flessibili, negozi aperti pure nei giorni festivi e prezzi concorrenziali, e per giunta il cambio franco-euro sempre favorevole agli svizzeri, i negozi gestiti dai cittadini cinesi continuano a rappresentare una indubbia concorrenza per le attività commerciali ticinesi.
Ma cosa può nascondersi dietro ai prezzi concorrenziali praticati nei negozi gestiti da cittadini cinesi? Patti chiari ha realizzato un’inchiesta inedita infiltrandosi in incognito nel mondo delle loro attività commerciali. Una collaboratrice ingaggiata dalla trasmissione ha documentato che nei centri estetici gestiti da cinesi gli stipendi possono scendere addirittura a meno della metà di quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore: sotto la soglia della povertà. E che le estetiste possono lavorare anche 7 giorni su 7 senza nemmeno 24 ore consecutive di pausa come imporrebbero le norme del settore. Di vacanze, quasi non se ne parla.
Nei ristoranti la situazione non è migliore. Un infiltrato di Patti chiari si è fatto assumere in due ristoranti cinesi di sushi all you can eat lavorando come cameriere e documentando sia la situazione precaria in una cucina, sia i ritmi stressanti e le condizioni di lavoro offerte dal titolare cinese: cioè un contratto di 1’300 euro per lavorare 7 giorni su 7, 60 ore a settimana, con sole due mezze giornate libere, senza un giorno intero di riposo e senza un numero fisso di giorni di ferie: tutto contrario al contratto collettivo nazionale di lavoro del settore. Per di più, una parte del salario verrebbe corrisposta in nero. Infine, la testimonianza un cameriere che, esausto, ha raccontato le pesantissime giornate di lavoro in un ristorante all you can eat.
- Presa di posizione - LA VANITE' DAY SPA
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