Abbiamo parlato anche noi più volte di peste suina africana; delle preoccupazioni che ci sono anche in Ticino, dopo i casi scoperti in Piemonte e Liguria. Lo abbiamo fatto da qui, da Comano, con collegamenti telefonici. E allora siamo voluti andare a vedere come vanno davvero le cose in una zona che vive ancora di agricoltura ed escursionismo.
Una premessa: siamo andati in Piemonte per parlare di cinghiali, quindi di boschi e di maiali. Ebbene nei reportage e nelle foto non ci sono né maiali, né boschi, né cinghiali. Perché in questa zona dell'Italia, oggi, la cosa fondamentale è tenere le persone lontano dai boschi e gli estranei fuori dagli allevamenti di maiali; in modo da evitare la propagazione del virus che ormai lo sappiamo causerebbe danni miliardari. Abbiamo dunque preso tutte le precauzioni che vanno prese in una situazione seria come quella che sta vivendo chi è chiamato a gestire la crisi e chi ci abita, in questi luoghi, che nei boschi non può (di nuovo) più andare almeno per sei mesi.
Ovada, l'epicentro
Il primo caso accertato di peste suina africana è stato a Ovada, un comune di 11'000 abitanti in provincia di Alessandria, in Piemonte. Il corpo del cinghiale è stato trovato il 29 dicembre, a cinque chilometri dal confine della Liguria. Da allora, gli ultimi dati parlano di 16 casi accertati di contagio. 12 in Piemonte, 2 in Liguria. I controlli, come da protocollo sono stati ordinati da Alessandro Gobbi, che è capo squadra cinghialisti della bandita di Cassinelle (c'è anche lui nel reportage).
I ritratti dal territorio
Fondamentale, adesso, è la ricerca delle carcasse di cinghiali infetti. Si parte dalla zona gialla, lontana dal punto in cui è stato trovato il primo cinghiale malato, a stringere fino a tornare al punto in cui ci troviamo per l'intervista con Daniela Pastorino. È veterinaria e cacciatrice ed è una delle protagoniste delle ricerche di terreno. È la coordinatrice per l'emergenza peste suina per Federcaccia Piemonte. Alle ricerche partecipano cacciatori, forestali, protezione civile e volontari. Come Wagner Mela, che aiuta Gobbi e Pastorino nelle ricerche tramite un drone. La corsa è contro il tempo anche per le autorità comunali (oltre che provinciali, regionali, nazionali). Il sindaco di Ovada Paolo Lantero deve comunicare alla popolazione nuove restrizioni. E poi è preoccupato che si interrompa un lungo percorso che questa zona ha fatto per darsi un indirizzo turistico chiaro. Fatto di aziende agricole e agriturismi, come quello di Federico Robbiano, Al Chiar di Luna.
Gli allevatori, quelli piccoli e quelli grandi
In Piemonte nella zona considerata infetta e che quindi sottostà a provvedimenti eccezionali, ci sono una quindicina di aziende agricole; in Liguria una trentina. Tutti allevatori che, abituati a tenere gli animali in grande libertà, ora devono chiuderli nelle stalle e macellarli il prima possibile. Macellarli, significa poter utilizzare la loro carne. Perché sono animali sani e la peste suina non è pericolosa per l'uomo.
All'azienda agricola Valli Unite, sui colli tortonesi, a una 40ina di chilometri da Ovada, questo lavoro è compito di Elisabeth Paul, che è macellaia esperta. Il suo timore è che i piccoli allevamenti di maiali (e quindi i salumi tipici di una piccola zona) spariscano; perché la biosicurezza costa (richiede recinti, disinfettanti) e cambia il volto di un'azienda aperta che deve dialogare con il consumatore. E allora si scherza su come diversificare ancora di più la produzione (ci sono già le mucche, il vino) magari con gli struzzi, ma in giro c'è l'influenza aviaria.
RG 12.30 del 22.01.2022 - Voci dagli allevamenti, il reportage di Francesca Calcagno
RSI Info 22.01.2022, 16:31
Poi c'è chi guarda con grande apprensione (e anche parecchia speranza) al lavoro di chi cerca di contenere il virus nella zona rossa. In Lombardia, attorno a Pavia ci sono aziende specializzate ad alta intensità. All'Arioli e Sangalli si allevano maiali per i prodotti DOP, come il prosciutto di Parma, il San Daniele, o il salame di Varzi, una specialità della zona. Ogni anno vengono allevati 14'500 suini. Enrico Arioli, che è veterinario, ha rafforzato le misure di biosicurezza e segue l'evolversi della situazione. Nessuno sta mettendo la testa sotto la sabbia, la situazione è presa sul serio, dice lui, e così pare anche a noi.