La deregulation, o deregolamentazione, è quel processo per cui i governi e gli Stati riducono il più possibile regole e controlli sul mercato, basandosi sull’idea che il mercato stesso si sappia regolare da solo. Si tratta di un processo ciclico: ci sono fasi storiche in cui in un paese le regole aumentano, e fasi in cui queste regole vengono ridotte.
Nessuna delle due tendenze, portata all’estremo, funziona bene: un mercato senza regole è un mercato ingiusto e diseguale, dove pochi squali finiscono per mangiarsi tutto e soffocare i soggetti più piccoli. Al contrario, un mercato iper-regolato è un mercato incapace di reagire con elasticità al mutare delle condizioni, incapace di innovare e di far prosperare la società.
Se guardiamo la fase attuale dall’alto, in una prospettiva internazionale, sembra che stiamo decisamente andando verso una pesante deregolamentazione. I sovranismi che guadagnano consensi un po’ in tutto il mondo fanno della lotta alla burocrazia una bandiera: dalle migliaia di licenziamenti nel pubblico già operati da Trump alla “motosega” brandita da Milei in Argentina, le ultradestre al potere hanno in comune due cose: una fiducia cieca nel mercato come entità autoregolante, e una aperta ostilità per le regole e per i limiti imposti dallo stato.
Tentiamo una lettura del presente partendo da qui, con i nostri ospiti: Luigino Bruni, ordinario di Economia Politica all’Università Lumsa di Roma, economista e storico del pensiero economico; e Generoso Chiaradonna, economista di formazione, giornalista, Caporedattore economia del Corriere del Ticino.
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