Come si documentano gli storici del calcio? Compulsano album e almanacchi, leggono raccolte di giornali sportivi nelle emeroteche, guardano filmati in bianco e nero, raccolgono aneddoti e statistiche e alla fine raccontano le gesta di Cruijff e Platini, di Eusébio e Pelé, di Maradona e Di Stefano, di Puskás e Chapuisat. Nulla di male, sia chiaro, ma così sono capaci tutti. Se fossero più seri, questi signori non trascurerebbero le fonti più affidabili, attendibili e veritiere: i fumetti. E magari, oltre ai 13 goal di Fontaine ai mondiali del ’58 o alla tripletta con cui Paolo Rossi nell’82 fece piangere il Brasile, scriverebbero delle 47 reti segnate da Paperino, goleador della Pro Paper, nel campionato ’62-’63. Sì, proprio Paperino, quello con lo zio tirchio, i nipoti assennati e la fidanzata smorfiosa, l’impulsivo, irascibile e sfortunato anti-eroe che si dividerebbe volentieri tra l’amaca e il divano, se ogni settimana un imprevisto non lo catapultasse da un’avventura all’altra. Perdente a livelli catastrofici, per vivere rari momenti di gloria indossa nottetempo i panni di Paperinik, il papero-alfa efficiente, razionale e sicuro di sé. Oppure gioca a calcio: nel grande prato verde può lasciarsi alle spalle le angherie dello zio, i capricci della fidanzata e gli umilianti confronti con la fortuna del cugino Gastone, gli sgrunt, gli snort e gli squaraquack. E trascinare in testa alla classifica a suon di goal la Pro Paper, come accade nella storia “Paperino centravanti intellettuale”, pubblicata il 30 giugno 1963 sul numero 396 dell’edizione italiana di “Topolino”. Idolatrato dai tifosi, per sfuggire alla loro curiosità va ad allenarsi in un campetto di periferia. Ma di lì a poco si trasferisce da quelle parti anche il Circolo Culturale Letterario di Paperopoli, e gli allenamenti del nostro bomber vengono disturbati da una sequenza micidiale di riunioni, simposi, pomeriggi letterari. “La dolorosa opera intrisa di esasperata sensibilità”, “la componente mistico-espressionista”, “le drammatiche configurazioni che si coagulano intorno all’ipersoggettività”: c’è tutto il birignao intellettualoide con cui negli anni ’60 avanguardisti, strutturalisti, teorici della morte del romanzo ambivano a distinguersi. E, siccome le disgrazie non vengono mai da sole, una notizia letta sul “Papersera” innervosisce Paperino ancora di più: Paperus Paperuac, il giovane esponente della corrente neo-gallica, definito dai critici più illustri “sublime decadentista”, terrà un ciclo di conferenze pomeridiane proprio al circolo letterario di Paperopoli. Per Paperino questo è troppo: Paperuac era un suo compagno alle elementari, famoso perché nei temi era una frana e prendeva sempre i voti più bassi. “È analfabeta ma ha scritto un romanzo”, direbbe Giorgio Gaber. La faccenda si complica ulteriormente quando Paperina, iscritta al circolo, rimane affascinata dagli sproloqui letterari di Paperuac. Per lei i successi calcistici di Paperino non contano niente, di fronte alla gloria imperitura che solo l’arte può dare: il calcio è un passatempo da bifolchi, una passione infantile di cui vergognarsi. Secondo Pier Paolo Pasolini, il migliore poeta dell’anno è sempre il capocannoniere del campionato, ma questo Paperina non lo sa, e per riscattarsi agli occhi dell’amata a Paperino non resta che iscriversi al circolo e ordinare in biblioteca decine di volumi, leggerli come un disperato e sorbirsi noiosi dibattiti: sul movimento prerinascimentale nell’antiromanzo dei Papuasi meridionali, sulle influenze petrarchesche nel crepuscolarismo della prosa eschimese, sui parallelismi tra l’opera di Shakespeare e il poeta azteco Queracuac. Il risultato però è deludente: durante le partite è svagato, abulico, distratto, e il suo rendimento cala; alle riunioni letterarie dorme e russa. Ma questa, per fortuna, è una storia a lieto fine: al termine di una conferenza, un grande critico prima sbugiarda e sminuisce Paperuac e poi, da appassionato di calcio, riconosce Paperino e lo riempie di complimenti davanti a tutti. A quel punto gli esterrefatti intellettuali non hanno scelta: per essere à la page sono costretti, Paperina compresa, ad andare allo stadio, dimostrandosi più conformisti di quelle masse che disprezzano.
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