"1967: How I Got There and Why I Never Left" di Robyn Hitchcock, Constable (dettaglio di copertina)
La Recensione

“1967: How I Got There and Why I Never Left”

Un romanzo di formazione, concentrato in un solo anno (e che anno…)

  • Courtesy: Constable
  • 22.10.2024
  • 25 min
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Di: Franco Fabbri 

Robyn Hitchcock (nessuna parentela col regista) è un singer-songwriter britannico. Non usiamo il termine inglese per snobismo, ma perché “cantautore” è carico di connotazioni tipicamente italiane o neolatine, e questo debutto di Hitchcock come scrittore conferma quanto la figura dell’autore-interprete sia diversa qui e nel mondo anglofono. Di lui come musicista ci siamo occupati a suo tempo anche nelle nostre recensioni, segnalandolo come un artista originale, senza compromessi, amato dai fan del rock alternativo e da tutti quelli per i quali Hitchcock, Andy Partridge, gli XTC, Field Music non sono nomi sconosciuti o marginali nella storia della popular music, ma un tesoro nascosto che rimanda ad altri protagonisti molto più famosi: Beatles, Kinks, Traffic, Pink Floyd… Li evochiamo qui anche perché sono co-protagonisti della narrazione di Hitchcock nel suo romanzo. Nel 1967 Robyn aveva 13 anni, e il suo ingresso nella teen age (l’adolescenza) avviene in un anno irripetibile nella storia della popular music, con l’uscita di Sgt. Pepper’s, col debutto dei Procol Harum, con l’affermazione di virtuosi come Jimi Hendrix ed Eric Clapton, con il primo album dei Pink Floyd, con la Incredible String Band e tanto altro. Ma ciò che invoglia alla lettura è la qualità letteraria del romanzo e l’intreccio tra le vicende personali e familiari del protagonista (lo stesso Hitchcock) con le istituzioni scolastiche britanniche. L’anno dopo Lindsay Anderson avrebbe preso le mosse da quegli stessi ambienti per il suo film If, Palma d’oro a Cannes nel 1968. Ma niente di tragico o di ribelle accade nel racconto di Hitchcock (in If, alla fine, gli studenti salgono sul tetto della scuola e si mettono a sparare). È la normalità di una vita segregata, in una comunità solo maschile, con le camerate dove al più giovane tocca di svegliare tutti al mattino; sono i bagni senza porte, le nudità in piscina o al fiume, un’omosessualità strisciante, i nomignoli obbligatori, gridare “sum!” (“ci sono”, in latino) all’appello. E la scoperta di Bob Dylan, e poi della psichedelia; e una serata in un seminterrato, con una lampadina blu, e un tizio che manipola un registratore facendo girare dei nastri alla rovescia, ed è un certo Brian Eno, che si dà delle arie. È un bell’inglese quello in cui Hitchcock scrive, dà piacere leggerlo, e non sarà facile tradurlo (come è legittimo sperare) in italiano o in altre lingue. E il racconto è pieno di annotazioni critico-musicali che faranno annuire chi ama approfondire la storia della popular music. Come molti di quelli che erano adolescenti in quegli anni, almeno una parte di Robyn è rimasta nel 1967 (così si spiega quel “perché non me ne sono mai andato” del titolo). A loro, a noi, è dedicato anche l’album che Hitchcock ha registrato per farlo uscire insieme al libro, e che contiene sue cover (essenziali, per lo più con voce e chitarra) di una dozzina di canzoni di quell’anno. Quali? Basta dire che la scaletta inizia con A Whiter Shade Of Pale e finisce con A Day In The Life.  

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