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Scuola Cina

di Gabriele Battaglia

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  • 24.3.2022
  • 26 min
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  • Scienze umane e sociali

Dall'estate del 2021, le autorità scolastiche cinesi hanno lanciato la politica della “doppia riduzione” (Shuang jian zhengce), un'ampia revisione che punta ad allentare la pressione accademica sugli studenti e a ridurre il tutoring a pagamento: in pratica, meno compiti a casa e stop al doposcuola per profitto. La politica mira sia a rendere più facile la vita dei ragazzi e delle loro famiglie; sia a offrire un'educazione più articolata, dando spazio anche al benessere psicofisico; sia a rendere l'istruzione più egualitaria, perché l'insegnamento privato dopo l'orario scolastico ampliava il gap tra ricchi e poveri. Siamo infatti in epoca di gongtong fuyu, “ricchezza condivisa”, bisogna ridurre la forbice tra chi ha e chi non ha, perché sul benessere, o meglio la promessa di benessere per tutti, si fonda la legittimità del Partito. Il proliferare di doposcuola privati provocava inoltre un effetto domino tra le famiglie del ceto medio; nel segno della più sfrenata competizione, il rampollo (di solito figlio unico) era sottoposto a un crescendo di lezioni private che lo privavano della sua infanzia e adolescenza. Infine, le autorità cinesi pensano che una vita meno stressata e un'istruzione con costi meno esorbitanti possano spingere i cinesi a fare più figli, perché l'inarrestabile calo delle nascite è il grande problema che si staglia all'orizzonte.

Tuttavia, come sempre accade, le nuove direttive sono state accolte con pareri discordanti, mentre un mercato da circa 120 miliardi di franchi, quello delle scuole private, è finito gambe all'aria.

Abbiamo cercato di capire le ragioni di genitori, studenti e insegnanti, per offrire uno spaccato della Cina contemporanea.

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