Alla fine degli anni Sessanta del Novecento l’arte povera era una tendenza che riuniva artisti come Alighiero Boetti, Mario Merz, Giulio Paolini e Jannis Kounellis. I loro lavori erano presentati – scriveva Germano Celant – come “dati di fatto”, in un confronto antropologico, con l’uomo reale, al di là delle etichette e delle contrapposizioni arte e vita, io e mondo. Un linguaggio visuale semplificato e tautologico che voleva uscire dal sistema di un’arte complessa e codificata. Oggi l’arte è un fatto sociale che raccoglie le sfide del presente in molti ambiti – dall’ecologia alla politica, dalla scienza all’urbanistica, dalla psicologia alla morale - ma l’accanimento ermeneutico, la ricerca di significato e le riflessioni teoriche di artisti e critici interrogano spesso soltanto la ristretta cerchia degli addetti ai lavori: l’arte contemporanea rischia di cadere nella trappola dell’autoreferenzialità e diventare incomprensibile ai suoi interlocutori. A “Moby Dick” cercheremo di capire se l’arte oggi ha davvero perso la sua capacità di parlare un linguaggio universale, a che cosa serve, chi trasforma e quali cambiamenti può instillare nella società.
Ne parleremo con i nostri ospiti: il direttore operativo di Palazzo Grassi a Venezia Mauro Baronchelli, la filosofa e docente di estetica sociale Barbara Carnevali e lo storico e critico d’arte contemporanea Vincenzo Trione. Nell’ultima parte insieme a Valeria Maggiore – co-curatrice della raccolta di saggi dal titolo Ecoestetica - approfondiremo le nuove implicazioni dell’estetica ambientale ed ecologica e le diverse modalità del rapporto tra arte e natura nell’epoca dell’Antropocene.
Scopri la serie
https://www.rsi.ch/s/703613