Nel gennaio del 1975 i componenti dei Pink Floyd entrano di nuovo nei locali dei mitici Abbey Road Studios a Londra per iniziare a lavorare al nono album della loro carriera artistica. L’assenza richiamata dal titolo Wish you were here si riferiva a Syd Barrett, considerato da molti il vero fondatore della band britannica, il chitarrista e cantante che sarebbe poi morto nel 2006. Ma i veri assenti erano forse loro, i musicisti rimasti, incapaci di trovare un nuovo slancio creativo, finché uscirono nuove perle, come Shine On You Crazy Diamond, proprio a Syd Barrett dedicata; era lui il diamante pazzo, uscito dalla band dopo un tracollo psichico dovuto all’uso massiccio di sostanze psicotrope. Pubblicato il 12 settembre dello stesso anno, Wish You Were Here è però anche una denuncia nei confronti dell’industria discografica; debutta al numero uno della classifica britannica, negli anni vende più di 20 milioni di copie ed è considerato uno degli album più completi dei Pink Floyd, pieno di rabbia e di speranza, un invito a uscire dalla gabbia.
Patricia Barbetti e Giovanni Conti ne parlano con Alceste Ayroldi, critico musicale, docente e giornalista e con Pierpaolo Martino, musicista e docente, esperto dei rapporti fra letteratura e musica.
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