Era il 1975 quando L’Ape Maia debuttava in TV, trasformando un romanzo del 1912 in un fenomeno globale dell’animazione.
A cinquant’anni di distanza, la piccola ape continua a volare nella cultura popolare. Ma l’Ape Maia non è solo un ricordo d’infanzia: è anche un simbolo precoce di sensibilità ecologica e un caso interessante di produzione transnazionale, nato dalla collaborazione tra Giappone ed Europa.
Antonio Dini, giornalista esperto di media e innovazione, ci ricorda gli elementi caratterizzanti e meravigliosi che accompagnano la figura dell’Ape Maia:
«Intanto per l’esordio in lingua italiana c’è la voce della cantante. Siamo prima dell’epoca di Cristina D’Avena. La voce è quella di una presentatrice della Rai, oltre che musicista, che è Katia Svizzero, che ha ipnotizzato letteralmente una generazione. Siamo anche all’inizio dell’epoca dei cartoni animati giapponesi, quindi c’è sicuramente da parte dell’Ape Maia un vantaggio competitivo rispetto a molte serie che sono venute dopo.
Messa in onda in Giappone e in Germania nel 1975, arrivata in Italia solo nel 1980, dopo Goldrake UFO Robot, l’Ape Maia intanto non nasce da un manga, cioè non nasce da un fumetto, ma nasce da un romanzo, da un romanzo, oltretutto di uno scrittore tedesco, quindi con un percorso non giapponese. E nasce come avventure: il titolo corretto del libro è: “L’Ape Maia e le sue avventure”. Avventure che nel cartone non sono le avventure di formazione del romanzo scritto da Waldemar Bonsels, quanto avventure per bambini, avventure per bambini che introducono dei temi che nel 1980 erano quasi praticamente sconosciuti, come l’ambientalismo, il rispetto della natura, l’ecologia. E poi c’è questa adorabile piccola creatura che sfugge dall’alveare in maniera assolutamente non traumatica, con i capelli riccioli biondi, accompagnata da un piccolo compagno di viaggi che è un ape maschio, quindi un fuco che che è un po’ tontolone e che fa da spalla comica, ma poi in realtà diventa molto gradito.
L’Ape Maia è stata per due generazioni la principale compagna di giochi per tutti i bambini, quando la televisione era la baby sitter. Al pomeriggio i bambini rimanevano davanti alla televisione ed era una televisione pensata per i più piccoli, molto morbida, molto dedicata, una televisione assolutamente non aggressiva, non violenta».
(Antonio Dini, giornalista esperto di media e innovazione)
Cinquant’anni di Ape Maia
Alphaville 22.04.2025, 11:45
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