«Andrei avanti volentieri a parlarvi di un’infinità di altre cose che mi sono successe e che ho scoperto nella mia vita, dei miei programmi e delle mie speranze, di sogni e di realtà… È stato bello chiacchierare con voi, ma adesso devo proprio lasciarvi: mi stanno aspettando per le prove di Aida alla Scala»
Termina con queste parole la sua autobiografia (Mondadori, 2006): cinquecentoventi pagine che raccontano la storia e la vita di un grande protagonista del cinema, un regista, un intellettuale controverso, uno dei maggiori testimoni del suo tempo e di tutto il Novecento.
Zeffirelli in uno scatto del 2009
Franco Zeffirelli: un artista il cui estro ha lasciato un segno indelebile in ciascuna delle sue opere, da quelle cinematografiche a quelle teatrali, fino a quelle musicali. Nato a Firenze, il 12 febbraio 1923, all’anagrafe fu poi iscritto come Gian Franco Corsi. La mamma, Alaide Garosi, era un’appassionata di musica, suonava molto bene il pianoforte e cantava pagine operistiche; di professione sarta, per altro molto apprezzata, con un suo atelier vicino al duomo. Il padre invece, Ottorino Corsi, commerciava in tessuti pregiati, specialmente sete di Como e lane inglesi. Una famiglia sui generis, in realtà, che soprattutto per l’epoca possiamo definire come al limite dello scandalo: Alaide, infatti, era già sposata con l’avvocato Alberto Cipriani. Dal loro matrimonio erano nati tre figli: Adriana, Ubaldo e Giuliana. Il padre Ottorino, dal canto suo, nelle memorie dello stesso Franco, era ricordato come un donnaiolo impenitente, coniugato alla gelosissima Corinna, con cui aveva una figlia di nome Fanny. Vista la situazione, Franco quando venne al mondo risultò “figlio di ignoto” e così la madre, non potendogli dare nemmeno il suo cognome, ne scelse uno traendolo dalla lettera che in anagrafe toccava quel giorno, ossia la zeta; vista la sua passione per la musica, si ispirò così all’aria de Idomeneo mozartiano a lei molto caro e scelse Zeffiretti, che per errore del copista in Comune, si tramutò in Zeffirelli.
Rimasto orfano della mamma a soli sei anni, il futuro regista venne preso in custodia dalla zia Lide, cugina del padre, il quale va detto provvide sempre al suo mantenimento frequentandolo, tuttavia, solo nei finesettimana. Franco Zeffirelli, forse per il vissuto complicato sin dal principio, maturò con un carattere schivo e riservato, trovando gioia solo nelle estati passate in campagna dalla balia Ersilia, dove rimase affascinato dai cantastorie e dal teatrino di burattini avuto in dono; per il suo smodato amore verso l’arte e il cinema, galeotto fu comunque uno spettacolo: la replica della Valchiria wagneriana, alla quale assistette a soli dieci anni, ma che fece nascere in lui la suggestione divorante per il palcoscenico, trasposta poi nei confronti dello schermo cinematografico che, con le sue storie lacrimose, arrivò persino a sconvolgerlo, facendogli provare uno speciale gusto per il melodramma.
Gli anni della scuola
Frequentò il collegio al convento di San Marco, poi il liceo artistico, ricevendo anche lezioni private di inglese, grazie alle quali si avvicinò alla grande letteratura anglofona, Shakespeare in particolare, impadronendosi di una competenza linguistica che diventò il passe-partout per i circuiti angloamericani e per dirigere spettacoli in lingua inglese. Nella pellicola autobiografica Un tè con Mussolini del 1999 - un romanzo filmico di formazione e insieme una parata di grandi attrici inglesi quali Maggie Smith, Joan Plowright e Judi Dench - si evince anche che i primi anni scolastici furono caratterizzati da un apprendimento in un ambiente raffinato, ma anche un po’ pedante. Poi il diploma, un viaggio in sud Italia e infine, nel 1941, l'iscrizione alla Facoltà di architettura di Firenze, che però interruppe a causa della Seconda Guerra Mondiale in corso; si vide costretto alla fuga nel 1943, quando dovette scegliere se arruolarsi nelle file dell’esercito repubblichino o se affrontare la conseguente pena alla corte marziale; scelse le formazioni partigiane nelle quali, l’anno successivo, si attivò come interprete del Primo battaglione delle guardie scozzesi che risaliva la penisola, liberando man mano il territorio. Nel 1945 arrivò poi a Brescia, alla volta infine anche di Milano; a piazza Loreto, Zeffirelli, fece in tempo a vedere il macabro spettacolo del duce appeso per poi tornare a Firenze, nella casa del padre che, vedovo, decise finalmente di riconoscerlo come figlio legittimo all’anagrafe. Franco, tuttavia, volle sempre rimanere fedele a quel nome voluto da sua madre Alaide.
Gli albori nel cinema
Franco Zeffirelli
Compreso che l’architettura non poteva diventare la sua vita, Franco Zeffirelli recitò in piccole formazioni amatoriali così come alla radio, dove ottenne piccoli guadagni. La svolta arrivò nell’estate del 1946, quando una cugina della madre, ex cantante lirica e in quel momento insegnante all’Accademia musicale chigiana, gli chiese di realizzare le scene per il saggio annuale: Livietta e Tracollo, di Giovanni Battista Pergolesi, che di fatto, diventò il suo debutto ufficiale su di un palcoscenico professionale. Al ritorno da Siena, Franco trovò la lettera, per lui sconvolgente, di Visconti il quale lo assumeva per un minuscolo ruolo (e minuscola paga) per lo spettacolo Delitto e castigo, adattato da Gaston Baty dal romanzo russo: questa fu l’occasione tanto attesa per avvicinarsi alla crème del teatro italiano, da Vittorio Gassman a Rina Morelli, da Memo Benassi a Tatiana Pavlova, da Massimo Girotti a Giorgio De Lullo. Si trasferì poi a Roma, dove venne notato da una sceneggiatrice americana (Helen Deutsch) che gli offrì un contratto a Hollywood molto ben pagato per la durata di un lustro. A trattenerlo fu Luchino Visconti, minacciando di cancellarlo dal suo lavoro se mai avesse accettato. Divenne così suo aiuto nelle riprese del film La terra trema girato in Sicilia e, tornato poi a Roma, lavorò ancora con Luchino Visconti quale suo assistente organico nella stagione teatrale 1948-'49: poi collaborò con Salvador Dalí alle scene e ai costumi, disegnò da solo le scene per Un tram che si chiama Desiderio, per poi tornare al suo primo amore: Shakespeare, in "Troilo e Cressida" per il quale realizzò, entro un palco di oltre cento metri, un’incredibile città fiabesca dove Visconti riunì nuovamente il meglio degli interpreti italiani.
Il periodo d’oro
Gli anni Sessanta rappresentano il massimo splendore della carriera di Franco Zeffirelli: dirige il Romeo and Juliet all’Old Vic di Londra con la giovane Judi Dench; realizza l’innovativo e longevo allestimento della pucciniana Bohème alla Scala di Milano (regia tanto apprezzata da essere replicata per mezzo secolo in giro per il mondo); tre mesi dopo, nel medesimo luogo, porta anche la verdiana Aida: primo caso di un suo allestimento coronato dal consenso della stampa nazionale; torna poi ancora all’Old Vic con uno straordinario Amleto con la coppia Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer; dirige anche Richard Burton e Elizabeth Taylor nel film La Bisbetica domata e nel ’68 esce il suo film Romeo e Giulietta con degli interpreti giovanissimi (i fulgidi Giancarlo Giannini e Annamaria Guarnieri) proprio come indicato da Shakespeare, senza dimenticare il documentario in bianco e nero intitolato Per Firenze, che girò nel 1966 ad un mese esatto dall’esondazione dell’Arno che alluvionò la sua amatissima città, un indimenticabile Richard Burton lo raccontava in italiano.
Nel 1969 un incidente automobilistico lo portò quasi alla morte, nella vettura guidata da Gina Lollobrigida, dovendo poi affrontare una serie di interventi chirurgici. Un frangente che portò grande turbamento nella vita di Zeffirelli, avvalorando però la sua fede religiosa; nel 1971 ciò emerse chiaramente nel film su San Francesco: Fratello sole, Sorella luna, in un clima mistico e nell’estasi della bellezza maschile in chiave ascetica. Nel dicembre del 1974 curò poi la regia televisiva in mondovisione della cerimonia di apertura dell’anno santo, così come il Kolossal televisivo Gesù di Nazareth, datato 1976. Nel 1986, per l’inaugurazione della stagione della Scala, con un clamoroso Otello composto da un cast stellare (Plácido Domingo, Mirella Freni e Piero Cappuccilli) Franco si assicurò che per la prima volta l’opera venisse trasmessa in diretta dalla RAI.
Negli anni ’70 diresse ancora grandi classici del melodramma al Metropolitan di New York, a dimostrazione di come la musica fu per lui un mondo speciale, in un rapporto caratterizzato da visceralità tanto profonda da essere determinante in alcune scelte registiche anche cinematografiche.
Tra le innumerevoli realizzazioni si ricordano: Il campione nel 1979 (rifacimento della pellicola di King Vidor del 1931), Amore senza fine nel 1981, Il giovane Toscanini nel 1988 e l’ambizioso Amleto"nel 1990, con Mel Gibson e Glenn Close, dalle forti connotazioni provenienti dalla psicoanalisi.
L’uomo
Come da sua volontà, dopo i funerali celebrati il 18 giugno nella cattedrale di S. Maria del Fiore, venne sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero delle Porte Sante, nella sua adorata Firenze.
Omaggi RSI
Franco Zeffirelli - Una vita da regista (La1)
Zeffirelli (Quotidiano, 1987)
Tè con Zeffirelli (Rete Due)
Maestro Zeffirelli (Laser, Rete Due)
I due Zeffirelli, Mostra a Milano sui suoi anni scaligeri (Rete Due)