Cultura

La guerra del cobalto

L’estrazione di questo metallo avviene prevalentemente in Congo con conseguenze gigantesche sull’impatto ambientale e umano. Il cobalto ha un’importanza strategica fondamentale per la produzione di macchine elettriche

  • 10 ottobre, 08:15
  • 10 ottobre, 09:35
Lavoro minorile
  • Imago
Di:  Emanuela Musto 

La necessità di contrastare i cambiamenti climatici e ridurre drasticamente le emissioni di carbonio porterà ad una completa trasformazione dell’industria automobilistica. Il divieto di circolazione in Europa per le auto e i furgoni tradizionali alimentati a benzina o diesel entro il 2035 è una proposta  presentata dalla Commissione europea nell’ambito del “Pacchetto clima e energia” già nel luglio 2021. Lo scopo è quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. In Europa le auto e il trasporto su strada contribuiscono al 25% delle emissioni del gas serra. A partire dal 2035 la vendita di automobili con combustione interna sarà vietata nell’Ue. Una decisione che coinvolge tutta la produzione della catena automobilistica. Il consenso per l’utilizzo di macchine con zero emissioni di carbonio è unanime e questo richiede l’investimento massiccio in nuove energie rinnovabili. Nell’ottica di un nuovo mercato per la mobilità sostenibile, una neutralità climatica entro 30 anni e l’aumento della produzione di batterie per le macchine elettriche ecco che il cobalto diventa un tassello cruciale. Il cobalto è un metallo fondamentale per molte tecnologie moderne, inclusi veicoli elettrici, dispositivi elettronici e batterie agli ioni di litio.

Circa il 70% delle riserve mondiali si trova nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), che è il principale produttore globale. Il Congo possiede ricchezze geologiche straordinarie ed è sempre stato un paese di importanza strategica per cauciù, uranio e ora per il cobalto. Una volta estratto, il cobalto grezzo viene raffinato per rimuovere le impurità. Cina e Finlandia sono tra i principali paesi che processano il cobalto grezzo, trasformandolo in prodotti finiti o semilavorati, come i cobalti in polvere o i sali di cobalto. Gran parte del cobalto raffinato viene utilizzato per produrre catodi per batterie agli ioni di litio. Queste batterie sono fondamentali per i veicoli elettrici. I principali produttori di batterie si trovano in Asia, in particolare in Cina, Corea del Sud e Giappone.

Il cobalto entra nei prodotti finiti, soprattutto nel settore tecnologico. Tesla, Apple, Samsung e altri giganti della tecnologia dipendono fortemente dal cobalto per alimentare i loro dispositivi. Tuttavia, a causa delle preoccupazioni etiche legate all’approvvigionamento del cobalto, molte aziende stanno cercando di ridurre la loro dipendenza da questo metallo o di garantirsi forniture etiche. Infatti, l’estrazione in Congo è spesso associata a condizioni di lavoro precarie, lavoro minorile e violazioni dei diritti umani, problemi che hanno attirato critiche internazionali.

Nel 2016 Amnesty international pubblica un rapporto che denuncia alcuni dei più importanti marchi dell’elettronica come Apple, Samsung, Sony, Daimler e Volkswagen di non verificare correttamente le condizioni di lavoro per garantire che il cobalto estratto da lavoratori minorenni non venga utilizzato nei loro prodotti. Il rapporto inoltre ricostruisce il percorso del cobalto impiegato nelle batterie agli ioni di litio, per risalire a miniere nelle quali bambini e adulti lavorano in condizioni estremamente pericolose. Tra i più importanti estrattori del minerale c’è la CDM controllata da Huayou Cobalt, che estrae più del 40% del proprio cobalto nel paese africano. Le condizioni di lavoro sono orrende e il rischio di incidenti mortali nelle miniere è altissimo pur contando che molti incidenti non vengono riportati e i morti sono lasciati sotto le macerie. L’assenza di protezioni non li tutela da malattie dei polmoni o della pelle. Bambini arrivano a lavorare fino a 12 ore nelle miniere trasportando carichi pesanti per essere pagati tra uno e due dollari al giorno. Secondo dati pubblicati nel 2014 dall’UNICEF sono 40’000 i bambini stimati che lavorano nelle miniere del sud della Repubblica Democratica del Congo.

Attualmente il mercato mondiale del cobalto non è regolamentato. Il cobalto non rientra nella categoria dei “minerali dei conflitti” regolamentati negli Stati Uniti – ovvero l’oro, il coltan, lo stagno e il tungsteno – in provenienza dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo. Amnesty International e Afrewatch chiedono alle multinazionali che integrano le batterie agli ioni di litio nei loro prodotti di applicare il principio della dovuta diligenza in materia di diritti umani, di indagare per determinare se il cobalto viene estratto in condizioni pericolose o facendo ricorso al lavoro minorile, e di rafforzare la trasparenza in merito ai fornitori. Le organizzazioni invitano inoltre la Cina a esigere dalle compagnie minerarie cinesi che operano all’estero a indagare lungo la catena di rifornimento e rimediare alle violazioni dei diritti umani legate alle loro attività. Amnesty International e Afrewatch esortano inoltre Huayou Cobalt a rivelare chi partecipa all’estrazione e al commercio del suo minerale, quali sono i siti di estrazione e a garantire che il cobalto acquistato non venga estratto da minori in condizioni lavorative pericolose.

Il rapporto di Amnesty International sullo sfruttamento del cobalto in Repubblica Democratica del Congo mostra chiaramente che solo quando gli Stati ospiti e di origine obbligheranno le aziende a mettere in atto una ragionevole diligenza lungo la catena di approvvigionamento sarà possibile mettere un termine agli abusi. Altrimenti le aziende potranno continuare a trarre profitto dalle violazioni dei diritti umani, in particolare attraverso il lavoro di bambini, senza che queste pratiche vengano messe in evidenza.

La Svizzera non è esente da questo invito. Stando a un’inchiesta delle ONG svizzere Sacrificio Quaresimale e Pane per Tutti, l’azienda elvetica Glencore, il più grande produttore mondiale di cobalto al mondo, si sarebbe macchiata di reati come la violazione dei diritti umani e ambientali, il lavoro minorile, l’evasione fiscale. La Glencore è accusata tra l’altro di aver contaminato i fiumi con dell’acido, di aver lasciato migliaia di persone senza acqua potabile e di aver acquistato dei minerali estratti da giacimenti artigianali, nei quali migliaia di persone lavorano a mani nude, minorenni compresi. Per questo in Svizzera oltre 70 organizzazioni hanno lanciato un’iniziativa per multinazionali responsabili. Questa iniziativa chiede la creazione di regole vincolanti per far sì che le aziende rispettino i diritti umani e l’ambiente, e questo anche nelle proprie attività all’estero. Il dovere di diligenza costituisce un elemento centrale poiché le imprese devono prevenire, attenuare e mettere un termine all’impatto negativo delle proprie attività sui diritti umani e sull’ambiente, e questo lungo tutta la catena di approvvigionamento. Senza obbligo legale le imprese continueranno a chiudere gli occhi e gli abusi continueranno.

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La guerra del cobalto

Grandi Doc 29.09.2024, 21:55

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