Cultura

Lo sguardo di Lauren

A cento anni dalla nascita, Lauren Bacall è ancora tra le più amate dive di Hollywood, icona del noir e regina di stile e bellezza

  • 16.09.2024, 08:16
  • 16.09.2024, 10:15
Lauren Bacall
Di: Nicola Lucchi 

Il 14 novembre del 2009, la grande sala da ballo dell’Hollywood & Highland Center era gremita dalle più importanti personalità del cinema. Quando un’ottuagenaria Lauren Bacall entrò in scena, la standing ovation fu sentita, come sentita era la commozione dell’attrice, che stringendo il suo Oscar alla carriera, unico Academy Award nel suo lungo percorso nel cinema, ricordò il suo esordio: “Sono stata molto fortunata nella mia vita, probabilmente più fortunata di quanto meritassi, ma all’età di 19 anni fui scelta da Howard Hawks per un film con un uomo chiamato Humphrey Bogart. La cosa non mi entusiasmò, pensavo non fosse per me. Se avesse detto Cary Grant forse avrei replicato, wow… ma finì che era Bogart.” L’ironia fece sorridere chiunque, ma solo un paio di anni più tardi, l’anziana diva avrebbe maledetto quel discorso di fronte al giornalista Matt Tyrnauer, che in un’intervista a casa dell’attrice chiese dove fosse quell’Oscar: “È nascosto nella mia camera da letto. Sono pronta a buttarlo dalla finestra. Lo odio. Ogni volta che lo guardo ricordo quel giorno e penso che sia stata probabilmente la cosa peggiore che abbia mai fatto. Quello che avrebbe dovuto essere uno dei giorni migliori della mia vita è uno dei peggiori. Perché non ho fatto altro che parlare di Bogie.”

Sarebbe sbagliato affermare che la vita di Lauren Bacall sia stata oscurata dalla figura di Humphrey Bogart, ma è certo che il binomio suoni inscindibile per ogni cinefilo, dai set condivisi al matrimonio, fino alla sindrome che porta il loro nome. Eppure, Lauren Bacall, al secolo Betty Joan Perske, cercò il mondo dello spettacolo fin da bambina, quando il sogno di diventare una ballerina si trasformò in quello di fare l’attrice, prima marinando la scuola per infilarsi nei cinema in cui ammirare l’amata Bette Davis, poi con l’Accademia americana di arti drammatiche e le prime esperienze a Broadway. Fu posare come fotomodella che condusse però alla fortuna. Quando Howard Hawks, grazie all’occhio attento della moglie Slim Keith, la vide sulla copertina di Harper’s Bazaar, non ci mise molto a trasformarla nel più grande esempio di “donna hawksiana”. La figura femminile, nei film di Hawks, è rappresentata da donne capaci di dire ciò che pensano tenendo testa ai propri colleghi, ma con Acque del sud (1944) Hawks non consolidò solo l’archetipo più caratteristico del suo cinema: diede forma e vita a una nuova divinità.

Una divinità che, durante il suo esordio, non si rivelò tanto risoluta. Come la stessa attrice raccontò riguardo alla sua prima scena, quando appoggiata all’ingresso della stanza di Bogart chiede se qualcuno ha un fiammifero: “Bogart mi lanciò una piccola scatola di fiammiferi. Accesi la sigaretta, lo guardai, dissi grazie, gli rilanciai i fiammiferi e me ne andai. Bene, provammo. La mia mano tremava. La mia testa tremava. La sigaretta tremava. Ero mortificata.” Nonostante tutto, lo sguardo di Lauren nato in seno alle sue insicurezze era ammaliante. Tanto da essere ribattezzato “The Look”. Hawks mise sotto contratto l’attrice, l’affiancò alla moglie affinché trovasse un proprio stile, le trovò un nome d’arte e la spinse a prendere lezioni dal voice coach che l’avrebbe condotta verso quel tono profondo e sensuale capace di stregare l’America. Sul set del film, infine, l’incontro con Humphrey Bogart, il grande amore della sua vita.

Non stupisce che, solo due anni più tardi, Hawks volle gli attori di nuovo insieme sul set, confermando grazie a Il grande sonno (1946) la perfetta intesa del duo. Se si esclude il cameo in Two Guys from Milwaukee (1946), la coppia Bogart-Bacall avrebbe resistito sugli schermi solo per un altro paio di anni grazie a La fuga (1947) di Delmer Daves e L’isola di corallo (1948) di John Huston, ma col loro matrimonio avevano stretto una promessa che si sciolse solo alla morte di Bogie, il 14 gennaio del 1957. Emblema incontrastato del noir, femme fatale per eccellenza e icona di stile e bellezza, Lauren era ormai ascesa da tempo al luminoso firmamento di Hollywood.

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“La morte di Bogart è stata devastante, ma per fortuna avevo i miei figli su cui concentrarmi,” dichiarò l’attrice che, non a caso, si allontanò dal cinema per quasi un decennio. Se gli anni Cinquanta le offrirono la possibilità di lavorare coi più grandi registi e attori di Hollywood, tra Michael Curtiz e Vincente Minnelli, William Wellman e Douglas Sirk, sul finire del decennio si dedicò solo a un paio di film, per scomparire quasi dalle scene per tutta la decade successiva. Elettroshock di Denis Sanders (1964), Donne, vi insegno come si seduce un uomo (1964) di Richard Quine e Detective’s Story (1966) di Jack Smight furono le uniche pellicole in cui apparve per non sottrarre tempo ai figli e al teatro, dopo il suo nuovo ingresso a Broadway e un secondo matrimonio con l’attore Jason Robards. Una carriera cinematografica che sembrava sul punto di spegnersi, se non fosse di nuovo esplosa sul finire degli anni Ottanta grazie a parti secondarie e, nel 1996, alla sua unica candidatura all’Oscar come migliore attrice non protagonista per L’amore ha due facce (1996) di Barbra Streisand.

Attraversando quasi un secolo di storia del cinema, Lauren Bacall seppe affermarsi con stile nello spietato mondo di Hollywood, affrontare con feroce opposizione l’oscuro periodo maccartista, reinventarsi a teatro e risorgere sul grande schermo per guadagnarsi, a buon diritto, una statuetta alla carriera “in riconoscimento del suo ruolo centrale nell’età d’oro del cinema.” Un lungo percorso riassunto dalla diva nelle autobiografie Lauren Bacall by Myself (1978) e Now (1994), ma che trovò completezza nell’aggiornamento della prima, quando nel 2005 fu dato alle stampe By Myself and Then Some. Un interessante consiglio di lettura.

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TG20 DEL 13/08/2014: "ADDIO A LAUREN BACALL" DI ALESSIA CALDELARI

RSI Cultura 13.08.2014, 21:20

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