Romeo Castellucci, Leone d’oro alla carriera, alla Biennale di Venezia da più di 40 anni mette in scena spettacoli in tutta Europa, confermandosi uno dei protagonisti indiscussi del teatro contemporaneo. Elisabeth Sassi lo ha incontrato al LAC di Lugano durante il Fit Festival 2024, il Festival internazionale del Teatro e della scena contemporanea, dove ha presentato in prima Svizzera Bérénice di Jean Racine, interpretata dall’immensa Isabelle Huppert, premio Molière alla carriera, icona del cinema e del teatro contemporaneo.
Un incontro che enuclea le tematiche principali del lavoro di Castellucci, cofondatore della compagnia Societas Raffaello Sanzio, partendo dalla sua rilettura della più grande tragedia della letteratura francese, Bérénice, monumento alla solitudine e all’abbandono.
Il teatro di Romeo Castellucci è un teatro ricco di simboli, sofisticato, pregno di riferimenti al mondo classico e a quello cristiano (e alla loro rotta di collisione).
La nostra cultura è fatta sostanzialmente dall’ebraismo, dal cristianesimo e poi certamente dal pensiero greco. Queste due polarità confliggono nella maniera più assoluta, ma noi siamo fatti di questo e noi dobbiamo trattare di questo. Il teatro greco secondo me risuona come una protesta contro il fatto di essere nati. Questo lo dice Sofocle in modo più chiaro ma lo dicono tutti i grandi tragediografi. E quindi si potrebbe dire che da un palco greco si protesta contro Dio, contro il Dio cristiano, per il fatto di essere qua, di non averlo voluto. Quindi il problema non è la morte, questo forse più un problema cristiano. Dare un senso alla morte. Creare una speranza è totalmente anti-tragico e anti-greco: non c’è speranza nel greco, non c’è neanche l’al di là.
A proposito di Bérénice Romeo Castellucci afferma che probabilmente è la tragedia più immobile, statica e snervante che sia mai stata concepita. Ciononostante decide di metterla in scena, con questa motivazione:
Beh, perché è un oggetto impossibile, un oggetto irrappresentabile, dunque massimamente erotico. Perché veramente non succede nulla in questa tragedia. Sono tre persone che parlano, stanno zitti, pause. Nessuno fa un gesto e io lo trovo meraviglioso. E tra l’altro devo dire che c’è questa specie di paralisi che anticipa la contemporaneità. Si potrebbe già pensare a Beckett: c’è già Beckett in questo testo, questa specie di impossibilità a procedere in una frase, questo linguaggio che diventa come una sorta di pasta che ti inghiotte, in cui ci si impantana sempre di più. Sarebbe meglio tacere, ma nessuno è capace di tacere. Ecco una storia d’amore. Nessuno si abbraccia, nessuno si bacia e si amano alla follia. Io trovo veramente geniale questo testo.
“Bérénice” di Romeo Castellucci (1./2)
Laser 02.10.2024, 09:00
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Il teatro di Romeo Castellucci è un teatro che scava, penetra nel corpo dello spettatore evocando immagini, ricordi, fantasmi. La sua ricezione sta nella sedimentazione, nell’eco che la scena sollecita nel buio dell’inconscio.
È lì dentro, nel buio del corpo dello spettatore che si gioca lo spettacolo non fuori. Le immagini più potenti sono quelle che non sono sensibili. Sono quelle che lo spettatore ricombina nella sua immaginazione, nel buio del suo corpo. Forse anche due giorni dopo. Non è qualcosa da consumare. Quello che vediamo non è un boccone preparato da qualcun altro. Non è entertainment. Questa è un’altra cosa. Io non ho niente contro questo, ma è veramente un altro mondo. Quindi sono due mestieri diversi e anche due modi di guardare diversi. Io credo che sia per questa ragione che il teatro è gravido di futuro. Ci sarà bisogno di questo tipo di religione, visto che le religioni storiche stanno morendo. Ma appunto questo raccogliersi intorno a un’immagine muta io trovo che sia invincibile.
Anche il lavoro sul suono, prodotto da Scott Gibbons, mira a entrare nel corpo dello spettatore, con frequenze alte e basse che evocano da un lato le viscere e dall’altro il cervello, la testa.
I suoni che si sentono, anche quelli percussivi o quelli più che possono assomigliare a dei droni, sono in realtà prodotti dalla voce di Isabelle, la quale ha passato 1 o 2 giorni a tossire, a fischiare, a piangere, a ridere, a soffiare, a starnutire, ... Tutti questi rumori buccali sono stati registrati da Scott in modo tale da avere una sorta di libreria non della parola, ma una libreria del corpo, del buio del corpo, del reale del corpo.
C’è una dimensione psico-custica: lavorando su certe frequenze si colpiscono certe parti del corpo, quindi le basse frequenze sono le viscere, le altre frequenze sono il cervello, la testa eccetera. Quindi è uno strumento molto potente, perché si entra per via diretta nelle emozioni dello spettatore.
Il personaggio principale di Bérénice è Roma, la ragion di Stato, il grane Leviatano. Il significato profondo è la subordinazione dell’amore, anche il più passionale, nei confronti di questo mostro superiore.
In realtà il personaggio più importante di Berenice è Roma. In una parola il Leviatano, lo Stato, la ragione di Stato. Anche questa non è una cosa antica. Questa è una cosa che è operante oggi. Quindi è un personaggio del tutto vivo tra noi. Questa specie di drago che vive, davanti al quale abbassiamo il capo.
“Bérénice” di Romeo Castellucci (2./2)
Laser 03.10.2024, 09:00
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