Arte

Fabrizio Soldini e il suo ‘Bienvenue en Xenon’

Uno straordinario viaggio espositivo a Novazzano che intreccia luce, spazio e materia, in un dialogo poetico e dal sapore contemporaneo

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  • Lucky Night, di Fabrizio Soldini (2009).
Di: Red. 

Fino al 5 gennaio 2025, nello Yellow Studios di Novazzano, si può visitare ‘Bienvenue en Xenon’: un percorso ideato da Fabrizio Soldini e costituito da installazioni artistiche, attraverso le quali i visitatori sono invitati a esplorare un universo che stimola percezione e immaginazione, con l’intento di trasformare il quotidiano in qualcosa di eccezionale, in un’esperienza che accende la mente e nutre l’anima. Una mostra che racchiude quindi il mondo interiore del pittore, un mondo fatto di altri mondi e di spazi cosmici, come lui stesso asserisce: «D’un tratto, lasciato in disparte da muse un poco distratte, mi scopro, in un bar di periferia, dialogante con una macchina luccicante e tintinnante, assordante ed inebriante, astronave di lucidi piaceri».

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Lo studio giallo di Fabrizio Soldini

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Il processo creativo di Soldini parte proprio nel momento in cui il presente inizia a scivolare via dalle sue mani e il gesto pittorico si muove attraverso il vuoto, lasciando dietro di sé una traccia. «Non trovo più richiami né intime rivisitazioni, mi sospendo… nel declivio dei miei pensieri: riscopro atavici luoghi. Guardiani di una buia caverna senza fondo mi negano l’accesso, occultando non ori e gioielli ma mirabolanti figure di una infernale Macondo. Nell’attimo in cui il colore macchia la tela, mi appare l’abisso, che mostra la sua infinita trasparenza rivelando la precarietà della materia: non giochi! Non edonismo! Non effimero! Una visione surreale mi libera dai falsi doveri, dalle false responsabilità, che non ho mai né voluto né accettato; ma mi si continua a ripetere: Tu devi! Ora il mio spirito dialoga con fantasmi notturni in una vita fatta di acri rumori, acri umori, acri ricordi sorvegliati da grotteschi visi che visi non sono ma maschere. Solitari Harry Haller, lupi della steppa nonché spettatori di un futuro già predetto si aggirano, rinchiusi in candide celle di mattatoi nauseabondi, illuminati al neon, ululando: Der letzte Urschrei!»

Fabrizio Soldini nasce a Mendrisio nel 1957 e cresce a Novazzano, dove tutt’ora vive e lavora; nel corso della sua vita ha insegnato disegno e ha viaggiato per il mondo accompagnato dalla musica jazz. Negli anni Ottanta, infatti, ha vissuto una fase di pendolarismo culturale, frequentando anzitutto l’Accademia di Brera e la città di Milano dove ha trovato amici, colleghi e ispirazioni artistiche tra musei e gallerie. Il legame con il Ticino è comunque rimasto sempre molto saldo, in un equilibrio tra due realtà vicine eppure diverse, concetto diventato poi una costante anche lungo il corso della sua vita. La passione per l’arte gli é stata invece tramandata già dal padre Attilio, diplomato alla Facoltà di architettura del Politecnico di Zurigo e nel contempo pittore, in particolare di paesaggi, volti e figure femminili. Esisteva insomma fin dall’infanzia una sicura familiarità con il mondo artistico, tanto che Fabrizio iniziò a dipingere da ragazzo, ispirandosi ai paesaggi alla Van Gogh e ai ritratti alla Kokoschka.

Il suo spirito avventuroso lo portò poi in un grande viaggio tra Canada e Stati Uniti, dove conobbe una realtà sociale molto diversa da quella europea, nella quale la cultura e la mentalità degli anni Sessanta continuava a perdurare. «Ho vissuto l’America come guardando un film, con un senso profondissimo della libertà. È stata una fuga da questa nostra realtà che noi giovani sentivamo stretta, verso le fonti del jazz, del blues e del rock; verso il mito americano cantato da Guccini, che non voleva dire ‘successo’, come si intende adesso, ma proprio ‘libertà’. Là ne approfittai per visitare quanti più musei possibile, folgorato dai quadri dell’‘Action painting’ di Pollock, dalla violenza sulla tela di De Kooning, dall’astrattismo di Franz Kleine, Sam Francis, in parte Motherwell, Mark Rothko e altri. Ho scoperto che con la pittura si poteva osare, esagerare e quindi essere liberi dai rapporti servili con la tradizione e l’arte accademica. La musica ‘back sound’ e la pittura ‘born in USA’ esaudivano il mio desiderio di oltrepassare delle frontiere, lo stesso che mi premeva dentro e che forse era di tutta la mia generazione». I viaggi negli Stati Uniti si ripeterono negli anni successivi, arricchendolo di esperienze culturali e umane.

Tuttavia, non solo la letteratura della Beat Generation, ma anche i poeti maledetti francesi e le filosofie orientali hanno influenzato profondamente l’approccio artistico di Soldini; una pittura che si sviluppa su grandi tele, in un terreno di libertà, dove l’atto creativo esprime emozioni, ricordi e frammenti dell’inconscio. Gesti ampi e prospettive dinamiche danno poi forma a un racconto intimo, fatto di sovrapposizioni, lampi di vita e stati d’animo che si intrecciano. Per Fabrizio Soldini dipingere, in effetti, è un vero e proprio viaggio mentale e sensoriale e, soprattutto, è un’esperienza libera da vincoli commerciali, cosicché l’arte diventi un luogo di esplorazione e introspezione e insieme un invito a gustare i sapori della vita con intensità. Lo stesso atelier di Novazzano, lo studio giallo appunto (che per un secolo fu l’ufficio postale del paese, da qui il colore giallo) è sia un porto sicuro, sia uno spazio di libertà: un posto in cui il disegno diventa l’espressione a tuttotondo dei pensieri e dell’universo personale dell’artista.

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  • Keystone

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