Teatro

Amleta

Discriminazioni, stereotipi, sessismo, abusi, gender gap, gender pay gap, gestione dei fondi pubblici: questo è il problema! L’associazione “Amleta” ha l’obiettivo di denunciare violenze e molestie nel mondo del teatro e promuovere un cambiamento culturale profondo

  • 15 aprile, 11:03
  • 15 aprile, 19:13
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"Empireo", di Lucy Kirkwood, regia Serena Sinigaglia

  • Serena Serrani
Di: Elisabeth Sassi 

Intervista a Valeria Perdonò, nel cast de L’Empireo (The Welkin) di Lucy Kirkwood, tradotto da Monica Capuani e diretto da Serena Sinigaglia. Spettacolo già acclamato al Teatro Carcano di Milano, in scena martedì 15 e mercoledì 16 aprile alle 20:30 al LAC di Lugano.

Era il 2020, in Italia si affrontava il primo lockdown, quando un gruppo di 28 attrici professioniste ha deciso di costituire Amleta: un’associazione che riunisce attrici da tutta Italia, con l’obiettivo di individuare stereotipi di genere, denunciare violenze e molestie nel mondo teatrale e promuovere un cambiamento culturale profondo. In un momento in cui lo spettacolo dal vivo era tra i settori più colpiti — insieme a ristorazione e spazi pubblici — queste artiste hanno unito riflessione sindacale, politica e sociale, dando voce a una nuova consapevolezza femminista e intersezionale.

Amleta punta i riflettori sulla presenza femminile nel teatro, sulla rappresentazione della donna nella drammaturgia classica e contemporanea, e si propone come osservatorio costante per contrastare disparità e violenza di genere. Il nome stesso è una dichiarazione d’intenti: “Amleto” diventa “Amleta”, con una sola lettera che cambia tutto. Una provocazione giocosa, ma anche un invito serio a ribaltare lo sguardo e adottare una prospettiva nuova.

Tra le fondatrici del progetto c’è Valeria Perdonò - attrice, autrice e speaker, attiva tra teatro istituzionale e indipendente. Impegnata anche nel sociale, collabora con il Centro Antiviolenza Non da Sola di Reggio Emilia e porta nelle scuole Amorosi assassini spettacolo di teatro-canzone ispirato a un fatto di cronaca. Perdonò è anche nel cast de L’Empireo (The Welkin) di Lucy Kirkwood, tradotto da Monica Capuani e diretto da Serena Sinigaglia, in scena martedì 15 e mercoledì 16 aprile alle 20:30 al LAC di Lugano. Un dramma storico ambientato nell’Inghilterra del 1759, che mette al centro una giuria di dodici donne - una sorta di Twelve Angry Men in chiave femminista - chiamate a decidere il destino di una giovane accusata di infanticidio, che sostiene di essere incinta per evitare la pena capitale.

Lo spettacolo, già acclamato al Teatro Carcano di Milano dove ha debuttato, si distingue per la messa in scena essenziale in contrasto con l’allestimento londinese del 2020 diretto da Sarah Benson al National Theatre. La regista Serena Sinigaglia ha definito la produzione “un miracolo”: oggi, portare in tournée uno spettacolo con 13 attrici e un attore è quasi impossibile per il mercato teatrale italiano. Amleta ha contribuito al progetto: l’8 marzo 2023, insieme ad ATIR, ha organizzato un laboratorio gratuito sul testo di Kirkwood con una mise en espace pubblica guidata da Sinigaglia. Un modo per restituire al teatro la sua funzione civica: luogo di confronto, ascolto e domande condivise.

In questa intervista, Valeria Perdonò racconta com’è nato il progetto Amleta e perché il teatro deve, oggi più che mai, essere un atto politico.

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Valeria Perdonò

La chiusura prolungata dei teatri durante la pandemia di Covid-19 ha messo a nudo fragilità strutturali e dinamiche di potere poco visibili. Voi avete trasformato quel vuoto in azione politica. Da dove siete partite?

«Una delle prime azioni è stata contare le presenze femminili, ispirandoci alla ricerca di Michela Murgia. Per evitare che si dicesse che esageravamo, che erano solo opinioni, abbiamo sentito il bisogno di dati oggettivi. Murgia, nel 2018, contava ogni domenica le firme femminili sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani e notava come alle donne fossero affidati temi ritenuti “frivoli”. Noi abbiamo fatto qualcosa di simile nel nostro ambito, e i numeri parlano chiaro: le donne sono meno, soprattutto nei ruoli apicali.

Abbiamo analizzato la presenza femminile (attrici, registe, drammaturghe, dramaturg) nel triennio 2017-2020 nei principali teatri italiani e nei TRIC - quelli che ricevono finanziamenti pubblici dal FUS. Il dato, semplificato, è stato di circa il 32%. Abbiamo poi ripetuto la rilevazione nel triennio successivo, coinvolgendo anche l’Università di Brescia per una maggiore coerenza scientifica. Il dato è salito al 35%. Un incremento minimo, quasi irrilevante. Inoltre, è emerso che le donne sono spesso relegate a sale più piccole, con spettacoli meno sostenuti economicamente, in scena per pochi giorni: dunque il pubblico che le vede è ridotto.»

Oltre all’aspetto occupazionale, quali altri obiettivi vi ponete?

«C’è una riflessione profonda sulla rappresentazione. Le storie che vediamo a teatro influenzano il nostro immaginario. Secondo la teoria dei neuroni specchio, ciò che vedo può spingermi all’emulazione. Se continuo a vedere donne rappresentate come madri, mogli, sante o tentatrici, mi sembrerà che quello sia l’unico modo di essere. Ma se vedo donne complesse, ambivalenti, che sbagliano, si mettono in discussione, che hanno potere, allora posso immaginare che anche per me sia possibile. Questo è il valore di spettacoli come L’Empireo, che mostra donne in tutte le loro sfaccettature. Le colleghe del gruppo di drammaturgia hanno sintetizzato questo concetto con il claim “vedere è potere”: perché ciò che rappresentiamo è ciò che possiamo immaginare.»

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"Empireo", di Lucy Kirkwood, regia Serena Sinigaglia

  • Serena Serrani

Qual è la portata del testo di Lucy Kirkwood?

«Intanto, siamo 13 donne in scena: una rarità, quasi una rivoluzione. E poi ci sono personaggi complessi, apparentemente anche negativi - come il mio. Dico “apparentemente negativi” perché nella realtà non esistono divisioni nette tra bene e male. Siamo tutti prismi, ma alle donne spesso non è concesso questo spazio. Testi come questo ce ne sono molti, ma vanno prodotti e soprattutto tradotti. Il nostro obiettivo è portare in scena scritture nuove, con figure femminili sfaccettate, autentiche. Se vedo donne diverse da quelle che mi hanno sempre mostrato, forse mi sentirò anche io diversa, ispirata.Senza contare che quasi l’80% del pubblico pagante per il teatro in Italia è donna. Questo testo parla di qualcosa di molto radicato nella nostra società, propone una riflessione ampia sulla violenza di genere, che ogni tanto entra nel dibattito pubblico perché accadono fatti eclatanti, come i femminicidi recenti. Ma il problema è sistemico, strutturale.»

Come si possono cambiare queste narrazioni nelle drammaturgie contemporanee?

«Amleta ha ideato un test che, senza pretese di valutazione qualitativa, aiuta autori e autrici a riflettere su elementi di inclusività nella scrittura: dalla presenza di personaggi femminili autonomi, sfaccettati e non relegati a ruoli ancillari, alla complessità dei loro archi narrativi. Da questo strumento è nato anche ConTest Amleta, un premio di drammaturgia originale giunto alla terza edizione, che sostiene testi inediti liberi da stereotipi, con un’attenzione particolare al pensiero femminile. L’obiettivo di Amleta non è solo analizzare o denunciare, ma proporre attivamente un cambiamento concreto nel panorama teatrale.»

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