Arte

La libertà è una lotta costante

Un giardino creolo di conoscenza e resistenza, che fa riflettere e cura. Un’installazione site-specific dell’artista Ishita Chakraborty, al Museo Vela fino al 27 aprile

  • Oggi, 12:00
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Ishita Chakraborty, La libertà è una lotta costante

  • © Sebastiano Carsana
Di: Emanuela Burgazzoli/Red 

Per re-immaginare il significato di libertà il museo Vincenzo Vela di Ligornetto ha invitato l’artista originaria del Bengala occidentale Ishita Chakraborty, che vive e lavora tra la Svizzera e l’India, a realizzare un progetto espositivo dal titolo La libertà è una lotta costante in dialogo con lo Spartaco di Vincenzo Vela, una delle opere più iconiche dello scultore di Ligornetto. Presentata a Brera nel 1851, la scultura che si ispira alla figura del gladiatore alla guida di una rivolta di schiavi nel I sec. A. C. suscita scalpore e diventa il simbolo della ribellione contro la dominazione austriaca.
Chakraborty ha creato a Ligornetto un giardino “creolo” di silhouette leggere che galleggiano nello spazio museale, facendoci risuonare voci di persone migranti, di ieri e di oggi. L’artista intende così interrogarsi e interrogarci sul concetto di libertà oggi, ma anche sullo sradicamento e sulla costruzione dell’identità culturale. 

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Ishita Chakraborty, La libertà è una lotta costante

  • © Sebastiano Carsana

Emanuela Burgazzoli ha intervistato l’artista per Passatempo:
Il titolo La libertà è una lotta costante, che ha scelto Ishita Chakraborty per il suo progetto espositivo, è un riferimento al saggio della famosa attivista afroamericana Angela Davis e alla sua intuizione che tutte le lotte di liberazione sono interdipendenti.

È stato davvero interessante cominciare un dialogo con lo Spartaco, perché è stato l’icona di un ribelle, che è riuscito a liberarsi da solo dalla condizione di schiavo. E in questa mostra ho cominciato a portare delle narrazioni sulla schiavitù e sul colonialismo. Un periodo storico in cui, sia gli esseri umani sia le piante, sono stati obbligati a fuggire o sono stati portati a forza in Europa. Ho guardato anche agli attuali esodi di rifugiati e alla situazione politica mondiale, con le guerre e i cambiamenti climatici. Direi che tutto è partito da questa scultura iconica di Vincenzo Vela.

Queste riflessioni sono confluite nella costruzione di un giardino di silhouette, sagome di piante disegnate sulla iuta: un modo apparentemente delicato e poetico di accerchiare fisicamente l’imponente scultura dello Spartaco che sembra un attore sul palco, attorniato da una inaspettata scenografia. Apparentemente delicato: perché anche la botanica è stata espressione della dominazione coloniale, attraverso una volontà tassonomica.

Un Giardino è uno spazio privato e allo stesso tempo pubblico. Giardini e parchi sono luoghi in cui trascorriamo del tempo libero, insieme alla nostra famiglia, o agli amici, oppure ci andiamo a passeggiare perché ci calma, libera. Libera la nostra mente o ci permette di sentirci a nostro agio. Allo stesso tempo, mentre realizzavo questa installazione, pensavo anche al concetto di giardino creolo così come l’ha definito lo scrittore Edouard Glissant: un giardino che era stato creato dagli schiavi deportati dai Caraibi. E in quel giardino gli schiavi, la sera, dopo una giornata trascorsa a lavorare, piantavano alberi di frutta e piante medicinali e ogni sorta di altre piante che potevano ricordare il loro paese, la loro casa e che potevano anche proteggerli. Quindi questo è un giardino di conoscenza e una forma di resistenza: le piante che vedete qui, molte delle quali sono diventate parte della nostra vita quotidiana, anche in Ticino, come il banano, la palma e l’ibisco. Ma sono state portate qui soprattutto dagli esploratori come piante decorative, per abbellire i giardini: quindi nascondono una storia un po’ oscura…

Anche la scelta dei materiali è fondamentale: non è un caso che l’artista abbia lavorato con la iuta.

La juta cresce nelle zone tropicali o subtropicali, come in India, in Africa, e oggi si trova anche in Brasile, nei Caraibi, e il Regno Unito è molto importante perché è stata usata per anni per fabbricare sacchi, riempiti poi di zucchero, caffè, tè, che gli europei importavano nei loro paesi. Quindi per me dipingere le piante sulla iuta equivale a una dichiarazione, perché attraverso questa tecnica posso parlare della storia della schiavitù e del colonialismo e anche degli scambi commerciali tra il Nord e il Sud del mondo e del lavoro di tutte quelle persone che non avevano la pelle bianca. Sul retro di queste silhouette ho incollato dei tessuti ricavati dai sahri: io vengo e questo tessuto mi è molto familiare.
E mi ricorda le questioni della cura e le prospettive ecofemministe, perché spesso il lavoro delle donne non viene riconosciuto, nemmeno quello svolto a casa o al lavoro o altrove. Tuttavia, stiamo lottando per raggiungere un riconsocimento: come riconoscere il lavoro che le donne svolgono nelle piantagioni, nell’agricoltura o in generale? Questa parte del giardino è più simile al giardino ecofemminista, un giardino di celebrazione e di gioia tra le donne, direi .

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Ishita Chakraborty, La libertà è una lotta costante

  • © Sebastiano Carsana

E alla base dell’idea intersezionale di libertà c’è la conoscenza delle storie degli altri, senza le quali è impossibile raccontare davvero la propria. Perché, come scrive sempre Angela Davis, spesso scopriamo che le storie degli altri in definitiva sono le nostre: i meccanismi dell’oppressione, dell’esclusione e dello sfruttamento sono gli stessi. Ed ecco perché lo spazio del museo risuona anche delle voci di persone migranti, di testimonianze di una migrazione che risale a molti anni fa o a tempi recentissimi, testimonianze raccolte dalla stessa artista che si è messa all’ascolto.

È stata una parte molto interessante di questo processo; perché non volevo separare l’uomo e il rapporto dell’uomo con la natura. Perché noi siamo parte della natura. E credo sia importante per me portare questa pluralità di voci, a livello sensoriale: quindi ascoltare una voce, evoca, lascia spazio all’immaginazione. Come quando sentiamo Teeri parlare del Burundi e del suo paesaggio, della sua vita e della sua vita in esilio, suona le canzoni tradizionali. Ci sono persone diverse per esperienze di vita e di età. C’è una ragazza originaria di Baghdad, ha 23 anni e ha un’esperienza di vita incredibile. Ma si può ascoltare anche Isabel, che ha più di 70 anni, arrivata in Svizzera quando era una ragazzina dal Portogallo. Lei parla delle politiche di immigrazione all’epoca o della sua esperienza di tanti anni fa in Svizzera. Quindi, attraverso queste persone, sentiamo anche l’idea di confine, il linguaggio dei confini.
E poi che cosa significa per noi ascoltare queste storie?

06:29

La libertà è una lotta costante

RSI Cultura 22.02.2025, 18:30

  • © Sebastiano Carsana
  • Emanuela Burgazzoli - Passatempo

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