Arte e Spettacoli

Il Faust di Leonardo Manzan

Una commedia metateatrale che ci interroga sulla funzione dell’arte in epoca post-moderna

  • Ieri, 09:15
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La messinscena del Faust di Leonardo Manzan

  • Manuela Giusto, LAC
Di: Elia Bosco  

«Un capolavoro!». Questa è la formula - superficiale, ormai cristallizzata - che sentiamo più spesso quando si parla del mastodontico Faust di Goethe. E in effetti è la parola che ricorre più spesso nella profonda riscrittura, in chiave parodica ma allo stesso tempo tragica, di Leonardo Manzan, giovane autore e regista romano due volte vincitore alla Biennale Teatro di Venezia, messa in scena al LAC l’11 e il 12 febbraio scorsi.

Lo è, in effetti, un capolavoro. Ma chi l’ha letto? Chi può davvero pronunciare un giudizio fondato sulla lettura del testo di Goethe? In pochi, perché il Faust richiede tempo, impegno e cognizione per essere veramente sviscerato. L’autore ha impiegato una vita per redigerlo, costruendo un’opera monumentale che lo consacra come il massimo scrittore di lingua tedesca e imprimendo il suo personaggio nell’immaginario collettivo come simbolo dell’anima moderna.

Quale miglior occasione per conoscere veramente Il Faust se non attraverso la sua rappresentazione teatrale? Forse, penseremmo, dedicandovi meno di un paio d’ore, il grande pubblico potrà finalmente dare sostanza alla reiterata ed ingenua formula: «È un capolavoro!». Ma questo non è, in realtà, l’obiettivo di Leonardo Manzan. Sì, perché Il Faust non va in scena sul palco del LAC. O almeno ci prova, ma senza successo. In questa messinscena, Faust è un vero e proprio personaggio presente sul palco, che si ritrova a condividere una conferenza con una compagnia teatrale per cercare di capire come effettivamente si potrebbe mettere in scena l’opera di Goethe per fare in modo che essa abbia successo al botteghino, che incontri il gusto e le aspettative del pubblico in sala:

«La nostra è una riscrittura parte dalla prima scena del Faust, che descrive il prologo in teatro. È una scena in cui Goethe mette in una condizione estrema tre persone di teatro, che devono realizzare uno spettacolo in pochissimo tempo perché il pubblico è alle porte e ha pagato il biglietto. Lo spettacolo, però, non c’è e loro si chiedono quindi quali siano gli ingredienti giusti, le caratteristiche più adatte per fare uno spettacolo che abbia successo. E così da questa prima scena, che è prelevata dalla trama del Faust di Goethe, noi mettiamo in scena una conferenza sul Faust di Goethe a cui partecipa Faust stesso. E quindi ci chiediamo: come possiamo mettere in scena questo testo immenso e difficilissimo da rappresentare, che l’autore stesso ha definito incommensurabile?»
Leonardo Manzan, autore e regista

Rutti, balletti, gag satiriche, performance canore. Ecco davanti a cosa ci troviamo nella prima parte dello spettacolo. E la sala ride rumorosamente. Tutti si divertono, forse nemmeno capendo il perché. Faust lo sa bene il motivo: questo tipo di arte, dedita e finalizzata al mero intrattenimento, è tutto ciò a cui il teatro può ambire nell’epoca della post-modernità. Ma non basta. Il pubblico è l’autore della rappresentazione che sta guardando. Viene interrogato direttamente dagli attori, che cercano continuamente un’approvazione. C’è persino una sedia vuota, che i personaggi in scena chiedono al pubblico di occupare. Chiunque può fare teatro, chiunque può recitare, chiunque può mettere in scena un’opera, basta che si limiti a leggere le sue parti, seguire le indicazioni delle didascalie e, soprattutto, accontentare il pubblico, ossia sé stesso. Il personaggio di Faust rimane in disparte, non partecipa, non parla, si disinteressa completamente. Cupo in volto, oscuro nello spirito, sembra subire l’intera rappresentazione.

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Il diavolo nel Faust di Leonardo Manzan

  • Manuela Giusto, LAC

Dunque, il tema centrale è l’irrappresentabilità dell’opera di Goethe in epoca post-moderna: «Il nostro Faust ha un problema concreto e insormontabile: vuole mettere in scena il Faust di Goethe. Vuole rappresentare se stesso. Ma questo non è più possibile: sa troppo di sé, è troppo intelligente, non crede più al diavolo». E il diavolo è l’unico personaggio che conserva la funzione più profonda del teatro. Travestito di tutto punto, con caratteri che richiamano alla figura del Joker, è la sola presenza a portare sulla scena la scintilla che permette all’arte di continuare a parlare nei secoli, trionfando sul tempo. Lo sguardo irrazionale, caotico verso la nostra interiorità più profonda: «E questo, come te lo spieghi?» è la frase che il diavolo continua a ripetere come fosse una preghiera.

Di ambigua identità di genere - una donna che si apostrofa al maschile - la figura diabolica è in cerca di autore. Nessuno gli dà più importanza, l’arte contemporanea se ne è sbarazzata. Ma il diavolo non ci sta, così come non ci sta Goethe. L’autore tedesco non era d’accordo con la sua eliminazione. Chi riconosce il diavolo non va all’Inferno, anzi. Goethe infatti fa approdare Faust in Paradiso per trasmettere un messaggio ben preciso e rivelatorio: scendere a patti con il diavolo significa affrontarlo, conoscerlo, appropriarsene, riconsegnargli uno spazio fondamentale nello sviluppo spirituale di ciascuno di noi. Questo è il grande messaggio dell’opera. L’obiettivo ultimo, in fin dei conti, è la conoscenza. E la conoscenza conduce verso la salvezza:

«Abbiamo un Faust infelice, quindi un punto di partenza simile a quello a quello dell’originale. Però Faust ha perso il desiderio, la spinta, la speranza di sancire un patto con il diavolo. Per cui noi mettiamo in scena un diavolo disoccupato. Un diavolo che arriva in teatro, partecipa alla conferenza, e deve riuscire a convincere Faust e i relatori a rimettere in scena il Faust di Goethe. Ma nessuno gli crede più, perché tutti sostengono che non ci sia più la possibilità. Perché ormai il teatro è andato avanti, perché il diavolo è un personaggio che non è più credibile, ma soprattutto perché il mondo, e questo è il tema su cui si concentra la nostra riscrittura, ha eliminato il diavolo e quindi il male. La violenza dal teatro, non è più in grado di essere rappresentata. Invece noi pensiamo che la rappresentazione del male sia una forma di esorcizzazione molto importante. Invece il teatro mette in scena una conferenza che somiglia ormai a una lezione accademica, un comizio politico dove si portano in scena soltanto cose in cui ci si riconosce, che già si sanno, valori che già si condividono e non si crea più quel attrito, quella frizione che dovrebbe portare poi al confronto, al conflitto che in fondo è la chiave di tutte le scene teatrali».
Leonardo Manzan, autore e regista

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Il personaggio di Faust in dialogo con il Diavolo

  • Manuela Giusto, LAC

Arrivati a questo punto, possiamo cercare di rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio: Il Faust è un capolavoro? Di certo, Leonardo Manzan ce lo ha fatto capire in modo totalmente controintuitivo, mettendo in scena ciò che può essere rappresentato del Faust: tutto, tranne quest’ultimo. La necessità di un teatro militante, che diventi specchio dell’umanità e, così, educatore dello spirito è la vera mancanza che si riscontra nell’epoca post-moderna e contemporanea. Tolta all’arte questa sacra funzione, quello che rimane sono rutti, superficialità, scandalo e l’intrattenimento per l’intrattenimento. Il complesso spettro dell’animo umano ha bisogno di altre chiavi di lettura per prendere profonda consapevolezza di sé e interrompere la costante ricerca di distrazione che nutre lo spirito moderno. Per farlo, occorre stringere un patto con sé stessi, con il divino e il diabolico che è in noi, essere fedeli alla propria interiorità e smettere di guardare altrove. La chiave di lettura ce l’abbiamo tutti a portata di mano: siamo noi stessi. Così si esce dalla sala: presi letteralmente in giro, con un forte bisogno di riascoltare i profondi e poetici monologhi del personaggio di Faust, ma senza il rumore di sottofondo, volutamente incessante e ingombrante lungo l’intera rappresentazione. Leonardo Manzan ci esorta a farlo. Tuttavia siamo solo noi quelli che possono portare a compimento l’intuizione e renderci artefici di un silenzio interiore, che si sbarazza di tutto ciò che, distraendoci, intralcia l’educazione dello spirito.

07:18

“Il Faust” di Leonardo Manzan

Alphaville 11.02.2025, 11:05

  • Imago Images
  • Natascha Fioretti

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