L’articolo che segue nasce dalla volontà di valorizzare uno straordinario documento proveniente dagli Archivi RSI: il servizio realizzato da Eros Bellinelli l’11 settembre 1975 per l’approfondimento «Situazioni e testimonianze». Questo materiale rappresenta una fonte preziosa per comprendere meglio la figura di Meret Oppenheim, una delle artiste più innovative e libere del Novecento, nata il 6 ottobre di 111 anni fa.
Attraverso le parole di Bellinelli e i video dell’epoca, è possibile ripercorrere il percorso artistico di Oppenheim e riscoprire la sua importanza, non solo come esponente del surrealismo, ma anche come pioniera nell’esplorazione dell’autonomia creativa femminile, capace di sfidare regole e pregiudizi in nome di una vocazione autentica.
Nata a Berlino il 6 ottobre 1913, da padre tedesco e madre svizzera, Meret Oppenheim trascorre gran parte dell’infanzia tra Basilea, Steinen, nel Canton Svitto e Carona, vicino a Lugano.
Profondamente influenzata dalla nonna materna, Lisa Wenger-Ruutz, autrice di fiabe per bambini (la più celebre delle quali in schweizerdeutsch è Joggeli söll ga Birli schüttle! ancora oggi adottata nelle scuole primarie della Svizzera tedesca), Oppenheim trae ispirazione dal percorso pionieristico della nonna, una delle poche donne a frequentare l’Accademia d’Arte di Düsseldorf.
La casa dei nonni a Carona, Casa Costanza, acquistata nel 1917 dal nonno Theo Wenger, fabbricante di coltelli a Delémont, diventa per lei un rifugio sicuro e una costante fonte di ispirazione. Frequentata da numerosi artisti e scrittori dell’epoca, tra cui Hermann Hesse, rappresenta un vivace centro di incontri creativi che influenzano profondamente il suo percorso artistico.
La casa di vacanza, tutt’oggi intatta, riflette la visione artistica di Oppenheim, impressa alla fine degli anni Sessanta, grazie a una ristrutturazione meticolosamente progettata dall’artista, che l’ha trasformata in un’opera d’arte totale.
Casa Costanza
Una casa, una vita 25.06.2022, 16:30
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L’avventura artistica di Oppenheim comincia nel 1931 quando decide di dedicarsi alla pittura e, con il permesso dei genitori, abbandona la scuola. L’anno successivo, appena diciottenne, si trasferisce a Parigi dove frequenta, senza grande entusiasmo, l’Académie de la Grande Chaumière. A Parigi entra in contatto con il mondo di artisti e scrittori surrealisti, che riconoscono il suo talento e rimangono affascinati dal suo carisma.
All’interno del gruppo surrealista, Oppenheim intreccia relazioni sia amichevoli che sentimentali, prima con Max Ernst e successivamente con Man Ray. Quest’ultimo la ritrae nella celebre immagine Erotique Voilée (1933), una delle fotografie più iconiche in cui appare nuda accanto a un torchio da stampa. Questo scatto rappresenta un proficuo connubio artistico tra fotografo e modella, riflettendo la loro intesa creativa e il clima di sperimentazione che caratterizza il movimento surrealista.
Man Ray, Erotique Voilée, 1933
A Parigi le sue opere si vendono con difficoltà, guadagna qualcosa disegnando gioielli e accessori per Elsa Schiaparelli, l’eccentrica stilista italiana nota per i suoi cappelli a forma di scarpa e per le sue borse a forma di telefono. In quel periodo Oppenheim ha l’idea di rivestire di pelliccia prima un anello, poi un bracciale rotondo. Creando una sintesi originale tra abito e accessorio.
Si narra che un giorno al Café de Flore, Picasso abbia commentato il braccialetto di Oppenheim affermando che ogni cosa poteva essere ricoperta di pelliccia. “Anche questa tazza e questo piattino”, replica con ironia Oppenheim e, quando si accorge che il suo tè si sta raffreddando, scherzando chiede al cameriere “un peu plus de fourrure” (“un po’ più di pelliccia”) per rivestire la sua tazza. Detto fatto: poche settimane dopo, in occasione della prima mostra di oggetti surrealisti presso la galleria Charles Ratton, Oppenheim espone il risultato di quella conversazione: “Colazione in pelliccia”, una tazza di te, con piattino e cucchiaio ricoperti da pelo di gazzella cinese.
L’ispirazione che l’opera di Oppenheim prende dal ready-made dadaista è evidente: gli oggetti vengono rivestiti di nuovo significato quando estratti dal loro contesto, caricandosi di perturbante e non di rado, di un carattere provocatorio. Poco dopo l’opera viene esposta al MoMA di New York e Alfred Barr Jr., all’epoca direttore, decide di acquistarla rendendola la prima opera di un’artista donna nella collezione del museo.
Nonostante i suoi iniziali successi, Oppenheim affronta difficoltà personali e finanziarie a partire dal 1933, quando il regime nazista impedisce a suo padre, un medico ebreo, di continuare a lavorare. Questa situazione aggrava la sua depressione, già alimentata dal senso di isolamento e dalla difficoltà nel trovare il suo posto in un mondo dell’arte prevalentemente maschile.
Nel 1937, Oppenheim torna a Basilea e si unisce al gruppo locale Gruppe 33, un collettivo di artisti che promuove l’arte contemporanea e l’astrazione. Questo gruppo le offre un ambiente stimolante in cui esplorare nuove forme artistiche. La sua partecipazione al Gruppe 33 ha contribuito a consolidare la sua posizione nel panorama artistico svizzero, stimolando un dialogo con altri artisti e intellettuali dell’epoca.
Nel 1967, una retrospettiva al Moderna Museet di Stoccolma riaccende l’interesse per il suo lavoro. Negli anni successivi, ottiene ulteriori riconoscimenti con mostre e premi in Svizzera e Germania. Muore a Basilea il 15 novembre 1985 all’età di 72 anni. Oggi riposa nel cimitero di Carona e in suo onore, nel 2001, è stato inaugurato il Prix Meret Oppenheim, destinato alle personalità del mondo dell’arte in Svizzera.