Arte e Spettacoli

Passi ribelli

Tra scandalo e provocazione, c’è un fil rouge che lega le esperienze contemporanee della danza alle avanguardie del primo Novecento

  • 27 gennaio, 14:11
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La fontana Manneken Pis, simbolo di Bruxelles

Di: Romano Giuffrida 

Danzare nudo in mezzo a una piazza e alla fine dell’esibizione urinare nella posa del Manneken Pis di Bruxelles: è quanto fece nel luglio del 2015 il danzatore californiano Frank Willens, membro permanente del Tanztheatrer Wuppertal Pina Bausch, esibendosi nella performance untitled (2000). La coeografia faceva parte del cartellone della quarantacinquesima edizione del Santarcangelo Festival, manifestazione internazionale dedicata al teatro, alla danza e alle arti performative. Lo spettacolo, firmato dall’artista poliedrico Tino Sehgal (1976), ripercorreva cento anni di storia della danza mostrando le trasformazioni dell’uso del corpo sul palcoscenico. In un susseguirsi di estratti di coreografie di Isadora Duncan, Nižinskij, Pina Bausch, Merce Cunningham, Trisha Brown, Yvonne Rainer, ossia dal Gotha della danza internazionale del XX secolo, i movimenti di Frank Willens riproponevano le tappe che segnarono i progressivi mutamenti della danza nel corso del Novecento. La nudità del danzatore esprimeva la volontà di mostrare il fluire dei movimenti corporei slegati da ogni riferimento estetico e quindi temporale.

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Fontaine di Marcel Duchamp (replica esposta al Centre Pompidou di Parigi)

L’ultima scena, quella della minzione, era una citazione dallo spettacolo Jerome Bel del coreografo francese Jerome Bel (1964), fondatore del movimento della cosiddetta “non danza”, che in quella coreografia si era ispirato alla famosa scultura Fontaine di Marcel Duchamp, l’orinatoio con il quale l’artista sbeffeggiò le discussioni sui ruoli dell’arte e degli artisti.

Silvia Bottiroli, studiosa di teatro e danza contemporanea e all’epoca direttrice artistica del festival, a proposito di quell’ultima scena di untitled (2000) disse: «Si tratta ... non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace (...), ma di un gesto fortemente coreografato, inserito all’interno di un contesto artistico specifico e dichiarato come tale». Mentre la coreografia di Tino Sehgal (Leone d’Oro come Miglior Artista alla Biennale di Venezia nel 2013) era stata vista in diverse città europee e in alcuni dei maggiori festival di danza senza mai destare particolare scalpore, in Italia, per l’atavica presenza di atteggiamenti moralisteggianti e censori, untitled (2000) sollevò polemiche a non finire con argomentazioni che si possono immaginare.

Nulla di nuovo “sotto al sole” comunque. Nel 1965, il Living Theatre, gruppo statunitense dell’avanguardia teatrale di quell’epoca fondato da Judith Malina e Julian Beck, presentarono a Trieste lo spettacolo antimilitarista Mysteries and smaller articolato in nove scene che coinvolgevano i corpi e i cinque sensi di attori e spettatori.  Ad un certo momento, ma per pochi secondi, si presentò in scena un attore completamente nudo. Al di là di alcune contestazioni più che prevedibili da parte di qualche spettatore (mancavano ancora tre anni alla rivoluzione culturale del 1968...), fu più significativa la “critica teatrale” alla performance espressa su un verbale di Polizia: «... accertato e contestato il reato di cui all’art.527 del C.P. per atti osceni, commesso da uno degli attori, si decreta la sospensione dello spettacolo e si vieta ogni futura rappresentazione».

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Isadora Duncan

Da quando nei primi del Novecento abbandonò la Regola ossia la classicità fatta di pirouettes, arabesque e grand ronde de jambe, la danza è comunque sempre stata scandalosa agli occhi di chi delimita i confini tra lecito e illecito. Lo fu a maggior ragione con la californiana Isadora Duncan (1877-1927). Indipendentemente dal fatto che amasse danzare nuda e coperta solo da veli semitrasparenti (cosa questa ovviamente già di per sé scandalosa), Duncan infatti indignò i benpensanti soprattutto perché volle liberarsi dai codici maschili della danza accademica che, per mezzo della ballerina, imponevano l’immagine di una femminilità “senza corpo” secondo un modello astratto e spiritualizzato. Le danze di Isadora invece annullavano la scissione tra forma e contenuto, fra esteriorità e interiorità, rendendo il movimento corporeo espressione di emozioni e passioni, restituendo così alla figura femminile carnalità e identità.

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Vaclav Nižinskij in L’après-midi d’un faune

Era comunque la “nuova danza” l’oggetto delle ire dei conservatori tradizionalisti. A Parigi, ad esempio, nel 1912 le polemiche vennero scatenate dal balletto “rivoluzionario” L’après-midi d’un faune che, su musica di Claude Debussy (1862-1918), venne realizzato dalla compagnia dei Balletti russi di Sergej Diagilev (1872-1929) su coreografia dello stesso protagonista Vaclav Nižinskij (1889 –1950). Anche in questo caso, l’accusa di cospirazione contro la morale pubblica derivante dalla mimica dell’atto sessuale al termine della rappresentazione, in realtà nascondeva l’irritazione per una danza che rompeva totalmente con i classicismi. E che dire di Le sacre du primtemps - Quadri della Russia pagana in due parti che andò in scena sempre a Parigi il 29 maggio del 1913? In quel caso lo scandalo fu duplice: da un lato, la coreografia, ancora di Vaclav Nižinskij, era caratterizzata da movimenti meccanici, primitivi, che prevedevano posizioni mai viste prima, salti e gestualità molto marcate; dall’altro lato la musica di Igor Stravinskij (1882-1971) sulla quale era stato realizzato il balletto, era una musica potente, dal ritmo incalzante che, accentuando il primitivismo della danza, superava le barriere armoniche e timbriche in un modo sino ad allora inaudito.

Inutile dire che il clamore che provocò Le sacre du primtemps fu enorme: d’altra parte non poteva andare diversamente, ciò che quella sera era accaduto al Théâtre des Champs-Élysées era nientemeno che «la più grande rivoluzione culturale e musicale del secolo scorso». Una rivoluzione che, allacciando con un invisibile fil rouge le molteplici esperienze di danza che si sono susseguite, non ha mai smesso di abbattere steccati, accademismi e falsi moralismi. Sarà per questo motivo che l’attivista anarchica Emma Goldman (1869-1940), considerando la “seriosità” dei rivoluzionari marxisti-leninisti, ebbe a dire: «se non posso ballare, non è la mia rivoluzione»?

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