Cosa rende un edificio un’icona? Alcune architetture diventano simboli riconoscibili, carichi di significati culturali che trascendono la loro funzione. Pensiamo alla pagoda giapponese, riletta in contesti urbani e commerciali, o al bungalow coloniale, esportato e adattato in tutto il mondo. Anche lo chalet svizzero, con il suo tetto spiovente e i balconi intagliati e fioriti, è un’immagine familiare, quasi rassicurante, che sembra appartenere a un tempo immutabile. Ma nel tempo ha viaggiato, si è trasformato, è stato copiato e reinventato. La mostra I love Chalets non offre una lettura univoca, ma esplora le molteplici evoluzioni dello chalet, tra esperimenti e reinterpretazioni.
Se il suo valore simbolico resta forte, la sua realtà si è frammentata in una pluralità di interpretazioni. Lo chalet si è diffuso negli anni attraverso immagini, manuali di architettura, cartoline illustrate e oggi tramite modelli digitali e intelligenza artificiale. Ma cosa rimane dell’idea stessa di chalet nella Svizzera contemporanea?
Una sala della mostra "I love Chalets", Zurigo
Uno degli esempi più emblematici è New Glarus, una cittadina del Wisconsin fondata da immigrati svizzeri nell’Ottocento, che prende il nome dal Canton Glarona in Svizzera. In quella che viene definita “America’s little Switzerland”, lo chalet non è solo una tipologia architettonica, ma un’operazione di marketing per rendere la città un’attrazione turistica. Qui, tutto richiama una Svizzera ricostruita: dalle facciate delle case ai festival folkloristici, dal giornale locale in svizzero tedesco, alla promozione di prodotti tipici. Gli edifici seguono modelli di progettazione basati su manuali storici, in cui il legno a vista e i tetti a falda diventano prescrizioni, non più solo dettagli decorativi. Il folklore viene reso tangibile, creando un’immagine che risponde più alle aspettative di un immaginario collettivo che a una tradizione autentica.
Nel frattempo, la Svizzera reale cambia. Nel percorso espositivo viene analizzato il caso di Andermatt Swiss Alps, la cui trasformazione in destinazione turistica di lusso mostra come lo chalet possa diventare un elemento strategico più che una semplice eredità culturale. Qui, a partire dal 2005, l’investitore egiziano Samih Sawiris ha ridisegnato il paesaggio di un ex sito militare nel Canton Uri, trasformandolo in un complesso di chalet e strutture turistiche. Il progetto ha coinvolto studi di architettura non solo svizzeri ma anche internazionali, chiamati a immaginare una nuova estetica “svizzera” destinata a un pubblico globale. Se da un lato Andermatt rappresenta un modello di sviluppo turistico, dall’altro solleva interrogativi sul rapporto tra economia locale, identità architettonica e il futuro delle comunità alpine.
Ciò che emerge da I love Chalets è che lo chalet non è un concetto fisso, ma un’idea in movimento. La mostra non propone risposte definitive, né una lettura nostalgica o critica: osserva esempi che vanno dal reale al digitale, dall’urbanistica alla grafica, dal passato al futuro, accostandoli con curiosità e leggerezza. Perché forse la vera natura dello chalet è proprio questa: continuare a trasformarsi, mantenendo sempre un filo con la propria immagine, ma mai rimanendo immobile.
Zaz Bellerive
Le (nuove) frontiere dell’arte
Voci dipinte 09.03.2025, 10:35
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