Teatro

Il Casanova di Fabio Condemi

Mesmerismo, memoria e mistero a teatro. In scena al LAC, lo spettacolo di Condemi porta sul palco una scrittura originale di Fabrizio Sinisi, con un grande interprete, Sandro Lombardi

  • Ieri, 11:03
  • Ieri, 12:14
condemi.jpg

Una scena del Casanova di Fabio Condemi

Di: Valentina Grignoli 

In scena a Lugano l’11 e il 12 marzo, lo spettacolo di Fabio Condemi è co-prodotto dal LAC e porta sul palco una scrittura originale di Fabrizio Sinisi interpretata da un grande Sandro Lombardi.
Valentina Grignoli ha intervistato per noi Il regista Premio Ubu in occasione della prima assoluta di Casanova, nuova produzione LAC ispirata alle memorie autobiografiche del pensatore e filosofo veneziano Giacomo Casanova.
Martedì 11 marzo alle 19:00 alla Sala 4 del LAC è possibile incontrare il regista Fabio Condemi. Dialoga con lui Rossella Menna, studiosa di teatro, saggista e drammaturga.

Sono nere le acque di Venezia la notte, sono profonde e sono misteriose. In quanti abbiamo in fondo intravisto, o creduto di scorgere, un mantello svolazzante, un Casanova che fugge, durante peregrinazioni notturne tra le calli della Laguna. Lo abbiamo sognato, imitato, fuggito, Casanova è un mito in fondo romantico, è in tutti noi, è stato raccontato, immaginato e studiato, molti i registi che si sono confrontati con questa figura, pur odiandola, come ammise Fellini, e altrettanti gli autori che hanno deciso di dargli un’altra possibilità.

Insomma, la sua figura non smette di affascinare, e anche Fabio Condemi, regista classe 1988, vincitore nel 2021 del Premio UBU per La filosofia nel boudoir, oggi si confronta con questo personaggio che incarna, a suo parere, i paradossi e i contrasti del 1700, a 300 anni dalla sua nascita. Lo abbiamo incontrato durante le prove.

 
«Casanova è un mistero per me, ma è soprattutto il mistero del Settecento, in lui convogliano e si intrecciano tutte le contraddizioni di un secolo, perché lo ha attraversato come protagonista e spettatore - racconta il regista. Mi interessa però l’ultimo periodo della sua vita, quando nel castello di Dux in Boemia, solo e amareggiato dall’età e dalla vita, decide di indagare sul più grande mistero dell’esistenza, la memoria. Scrive la sua propria memoria e proprio verso la fine… si accorge di perderla».

Un secolo, quello di cui stiamo parlando, già ampiamente raffigurato in un’altra opera di Condemi, presentata alla Biennale di Venezia nel 2020, La filosofia nel boudoir del Marchese De Sade. Qui però il Settecento viene affrontato sotto un’altra luce, con ombre diverse.

«Credo che Casanova sia l’altra faccia del Marchese De Sade. Tutti e due hanno vissuto la Rivoluzione, Casanova però non la accetta, è una sorta di strana forza del passato, e allo stesso tempo è reazionario e sognatore. Ma il mondo vecchio non può finire. Anche il Marchese De Sade si confronta con l’avvento della modernità, però fa l’estremo opposto: adesso che c’è stata la Rivoluzione facciamo i conti con il limite, dov’è? Lo supera di fatto, e arriva al paradosso, formare una società fatta di delitti, aberrazioni e violenza. Casanova rimane ancorato a un passato che è infanzia ma che è anche nostalgia di qualcosa che forse non è mai esistito. Quindi il concetto di luci e ombre c’è in entrambi, solo che in De Sade la luce diventa accecante perché il suo illuminismo arriva fino allo sterminio, mentre in Casanova è come se l’ombra diventasse luce. Si può dire che in entrambi il tema dell’illuminismo e della luce come pensiero sono piuttosto complessi».

Un gioco di luci e ombre che viene affrontato anche nella drammaturgia della scena.

«In entrambi i casi (De Sade e Casanova ndr.) questo è il risultato di un ragionamento visivo curato con lo scenografo Fabio Cherstich rispetto al Settecento, secolo di invenzioni, automi, grandi scoperte scientifiche. Il nostro Casanova cita un fatto che ha cambiato il modo di vedere il mondo: l’uomo per la prima volta ha volato, e questo ha cambiato la prospettiva».

Nella pièce scritta da Fabrizio Sinisi appositamente per la messa in scena di Condemi, il Casanova che incontriamo è ormai vecchio. Da quindici anni lavora per il Conte di Waldstein in Boemia, al Castello di Dux. È bibliotecario e passa il tempo a riordinare vecchi volumi, a litigare con la lingua tedesca e a scontrarsi con i cortigiani. Solo e amareggiato, decide di scrivere tutte le sue memorie. Ma il testo guarda alle Mémoires di Casanova sotto un originale punto di vista. Non ripercorre il passato, ci si tuffa come in un sogno.
Come visioni riaffiorano personaggi e luoghi, distanti e disordinati nel tempo. È la mente che gioca brutti scherzi, la memoria che se ne va, è l’affrontare quelle acque profonde della coscienza osservando il riaffiorare in superficie di istanti dimenticati.
Fantasmi che tornano, premonitori? A provocare questo turbinio delle acque è il medico mesmerista arrivato a Dux su richiesta dello stesso autore delle Mémoires, che al settimo volume si accorge di perdere la memoria. Lo spettacolo è dunque una seduta mesmerica, che altera lo stato della coscienza ponendo lo stesso Casanova, dopo gli incontri con le voci del passato - Henriette, la Marchesa D’Urfé, Frate Marino Balbi, di fronte alla domanda: è meglio ricordare o abbandonarsi all’oblio?

Figlio di attori, il nostro protagonista aveva cominciato le sue Mémoires con un episodio che poi colpì particolarmente Condemi e che quindi apre anche le memorie nel testo di Sinisi: la perdita di sangue da naso da piccino, l’epistassi. E così, come il sangue che cola, colano le parole di questo testo e i ricordi del passato, che sgorgano letteralmente anche grazie al medico mesmerista.

Sorta di ipnosi, comunque gioco di energie e flussi, il mesmerismo era molto in voga nei salotti dell’epoca anche se pratica molto discussa rispetto alla sua efficacia. Qui è un felicissimo espediente drammaturgico che permette al testo di raccontare senza raccontare, di mostrare attraverso le immagini, e di confonderci come tra le acque torbide.

«È un’indagine sull’invisibile quella sulla quale si era chinato il medico Anton Mesmer: il magnete attrae un metallo per una forza che non si vede. Da qui nasce una riflessione sull’intero cosmo, come se fosse attraversato da forze magnetiche che cominciano a richiamarsi e a fluire nonostante gli esseri umani, animali e vegetali».

Tornando alla scenografia, importante sottolineare come per Condemi e Cherstich questa sia un impianto drammaturgico, non semplice decoro. “Il punto di partenza è quello della biblioteca Dux, un luogo da cui far partire la memoria, una sorta di biblioteca di Babele. Nello spettacolo questa biblioteca si anima e diventa luogo spettrale, di fantasmi, per un istante è l’acqua scura di Venezia di notte. Una biblioteca che è anche il cervello di Casanova».

Sandro Lombardi, grande attore di lungo corso, è un Casanova in particolare contatto con la propria memoria, con lui in scena Marco Calvalcoli che fa il medico mesmerista e Frate Martino Balbi, Simona De Leo per Henriette, Betti Pedrazzi la Marchesa D’Urfé e poi ancora Edoardo Matteo nei panni di un Casanova giovane e Alberto Marcello che impersona Voltaire.

«Questo spettacolo è una riflessione sul tempo» dichiara Condemi, ripercorrendo insieme personaggi epoca e esoterismi. C’è un medico che trasforma il mesmerismo in una seduta quasi analitica, facendo affiorare l’inconscio - mentre all’epoca si trattava soprattutto di flussi magnetici dei corpi; c’è un intellettuale aggrappato al suo passato vincente che vuole ricordare e invece cade nell’oblio - e forse è meglio così; c’è un’epoca di transizione che vede il posto dell’uomo nel mondo stravolto; e infine c’è il rito del teatro, che permette - citando Fabrizio Sinisi - “ciò che nella vita è impossibile: infrangere l’univocità del tempo, invertire il suo flusso, sparigliare le carte dell’irrevocabile”».

06:31

Fabio Condemi sul Casanova al LAC

RSI Cultura 10.03.2025, 18:00

  • Valentina Grignoli - Ho visto cose

Correlati

Ti potrebbe interessare